Giovanni Malagò, presidente del Coni, torna a chiedere lo ius soli sportivo, in occasione dei Giochi olimpici di Parigi, a cui partecipano tante e tanti giovani italiani dalle storie, origini e provenienze le più diverse.
Già tre anni fa – prima che arrivassero Meloni e poi Vannacci – aveva dichiarato:
«Non riconoscere lo ius sportivo è aberrante e folle. Questo discorso oggi più che mai va concretizzato: a 18 anni e un minuto chi ha i requisiti deve avere la cittadinanza italiana e non iniziare una via crucis con rimbalzi tra prefetture e ministeri.»
Ovviamente nessuno intende occuparsene sul serio, quindi merito a chi almeno ne parla, ma non si riesce a capire perché per tutti gli altri non debba valere lo stesso trattamento. Vale solo per chi ha talento e riesce a classificarsi tra i primi nel mondo? Per chi rappresenta i colori nazionali nelle competizioni sportive? E per chi invece è scarso e studia o va a lavorare?
«A 18 anni e un minuto», come dice Malagò, ma anche prima, quando in Italia vivono e studiano – anche perché in moltissimi casi in Italia ci sono anche nati.
È il bivio tra l’essere riconosciuti e rimanere “stranieri per sempre”, come qualcuno continua a pensare, anche nel mondo della politica più retrivo che potessimo avere.
Nel frattempo, mentre ne discutiamo, le ragazze e i ragazzi dello ius soli diventano, anno dopo anno, maggiorenni: chissà quando lo diventerà anche il nostro Paese.
P.S.: ovviamente la politica, negli stessi giorni, si occupa di sbarchi, che sono diminuiti rispetto allo scorso anno (un anno record) e che sono in linea però con quello precedente. Il dibattito di ogni estate, da quarant’anni a questa parte, senza che nessuno si ponga davvero il problema di aggiungere altro.
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