Domenica 30 luglio. Alle 9:30 ci troviamo assonnate col caffè in mano. Questa mattina bisogna fare una buona colazione, deve reggere fino al pomeriggio. Oggi, infatti, è previsto il corteo, l’annuale “passeggiata ai fortini della devastazione”, cioè ai cantieri TAV. La passeggiata percorre la statale sotto il sole cocente di fine luglio. Alle 12 le persone si radunano all’entrata del campeggio, si cercano, si formano i gruppi per la passeggiata. Si chiacchiera in attesa di partire. A mezzogiorno inoltrato iniziamo a camminare dietro lo striscione che riporta le parole “Siamo la natura che si ribella”. Quando iniziamo a camminare gli adulti che hanno il turno agli stand della colazione, iniziano a fare rumore battendo i mestoli contro le pentole. Incoraggiano il corteo, lo sostengono e ci accompagnano per i primi metri.
Inizio il corteo con G., che mi racconta dei cantieri. La passeggiata, infatti, si dirige verso il cantiere di San Didero. Qui il 25 aprile del 2021, data non casuale, con un corteo di mobilitazione che contava duemila persone era stato costituito il presidio NO TAV di San Didero fronte al neonato cantiere. Si legge dai comunicati NO TAV di quel giorno: “Abbiamo dimostrato ancora una volta come possa essere possibile attraversare questo mondo in un modo più sostenibile per tutti e tutte. Con determinazione abbiamo preso possesso dei terreni, nostri di diritto, sottolineando la linea di demarcazione che ci differenzia da coloro che stanno occupando la Val di Susa”. Il cantiere di San Didero è stato istituito per la costruzione di un autoporto, opera collaterale alla linea TAV che si estende su un’area di 68.000 mq tra San Didero e Bruzolo. Il fatto curioso è che per quanto questi cantieri siano chiusi, e quindi non si sa cosa succeda lì dentro, sembrerebbe che le forze dell’ordine presidino di fatto un cantiere vuoto.
Mentre andiamo a prendere la navetta che ci avrebbe portate al presidio di San Didero vedo L., la mia vicina di tenda. La raggiungo e aspettando la navetta parliamo. L. ha una sorella molto attiva nel movimento NO TAV. Loro vivono in valle e L. mi racconta le sue storie di vita attraversate dall’attivismo della sorella. Mi racconta di quando un giorno sua sorella con alcuni compagni si era diretta verso Chiomonte. L. con un’amica l’aveva seguita per tenerla d’occhio, che non si mettesse nei casini. Per cui percorre la via per Chiomonte presidiata dagli adulti attivi o meno nel movimento. In valle, avrete capito, sono tutti più o meno coinvolti anche perché molto spesso tutto ciò che ruota attorno al NO TAV coincide con momenti di aggregazione sociale. Tra gli adulti che presidiano il sentiero c’è la vicepreside della vecchia scuola di L. con cui la ragazza si ferma a parlare. A un certo punto, la vicepreside la ferma e le dice: “Lo senti questo rumore? Ascolta. Fa “toc”. Sono i lacrimogeni della polizia”.
Perse tra le chiacchiere arriviamo. La navetta ci fa scendere su una strada che porta al presidio di San Didero. Per il resto sono campi. Proprio nel luogo dove ci lascia la navetta vedo una ragazza sola, seduta accovacciata. Mi sembra che stia piangendo. Mi serve qualche secondo per accorgermi che intanto a me stanno bruciando gli occhi. Mi fermo e sento “toc”. Alla ragazza stanno lacrimando gli occhi, ma non sta piangendo, sono i lacrimogeni. Con L. e gli altri iniziamo a dirigerci verso il presidio. Quel suono ‘toc’ è ininterrotto. La polizia sta lanciando lacrimogeni ininterrottamente. A volte quel toc ha un ritmo diverso. “Sono i lacrimogeni a grappolo” mi dice L. Capite in quelle circostanze come funziona? Polizia, militari, armi, carri, jersey mentre i NO TAV vogliono riprendere il cantiere con mezzi auto organizzati, come hanno fatto altre volte. Hanno dimostrato in passato di potersi riappropriare di luoghi che erano stati sottratti alla comunità.
Più ci avviciniamo al presidio più l’aria diventa irrespirabile. La trachea brucia e noi siamo ancora lontane dal presidio. Ma anche qui, a metri di distanza, gli effetti della “battaglia” si sentono. Ci raggiungono dei ragazzi che chiedono acqua con occhi rossi e gonfi per i lacrimogeni e lo sguardo disorientato. “Non andate” - ci dicono- “senza la maschera lì non si può stare. Stanno sparano lacrimogeni da mezz’ora senza sosta”. Dunque, io accanto al “fortino” ci sto dieci minuti, se va tutto bene, senza mai raggiungere il presidio. Eppure, tanto è bastato per vedere e comprendere quell’ “armi contro persone” di cui mi parlavano. Mentre andiamo verso la stazione del treno per ritornare a Venaus si sente un rumore diverso dal toc dei lacrimogeni. L. si gira, mi sorride e dice: “Questi sono i nostri”.
Alla stazione del treno ci sono un po’ di persone. Una ragazza ha un limone in mano lo tiene vicino al naso. Le sorrido e ci capiamo: “Genova ci insegna: limoni contro i lacrimogeni”. Il treno arriva quasi subito. Saliamo. Mentre riattraversiamo la valle vado a vedere le notizie. Il giornale La Stampa scrive: “Attacco al cantiere TAV. Una cinquantina di manifestanti si sono travisati. Con un argano hanno agganciato il cancello nel tentativo di sradicarlo. In corso lancio di bombe a carta e petardi contro le forze dell’ordine, schierate a difesa del cantiere”. Il Corriere di Torino scrive: “I manifestanti incappucciati respinti da lacrimogeni e idranti. Salvini: Avanti con il lavoro”. Il Giornale scrive direttamente “Guerriglia sfrenata per distruggere impalcature e reti, ma soprattutto attaccare con violenza le forze dell’ordine”.
Avevo scritto il primo giorno che il movimento accomuna diverse identità e diversi metodi che vanno visti tutti insieme nella loro interezza per comprenderlo. Ma i giornali riportano solo parzialmente l’informazione. Una volta tornate al presidio intravedo F. Lo raggiungo e scherzando gli dico: “Hai visto i giornali? dicono che siete violenti”. F quel giorno era rimasto al presidio, mi guarda e con quel suo modo pragmatico di fare mentre versa del vino a un compagno, mi dice: “Lo siamo”. Avevamo già parlato, sapeva che avevo studiato criminologia. Mi dice: “la conosci meglio di me la questione della violenza”. E penso sia forse utile a questo punto riportare ciò che mi è rimasto da questa conversazione. Preciso, però, che la risposta “violenta”, dove intendiamo i colpi sui cancelli e qualche molotov, non è la strada scelta da tutti, è solo una frangia di un più ampio movimento. E preciso anche, che a questo punto del racconto mi pongo in una posizione imparziale, non voglio dare una risposta e come ho scritto dal primo giorno nemmeno un giudizio. Voglio piuttosto riflettere.
Il primo presupposto è che il successo del movimento NO TAV sta anche nel suo essere fluido, aperto e non egemonico. Così è in grado di coinvolgere soggetti diversi intorno a obiettivi comuni, e qui si intrecciano forme di espressione diverse. La seconda, è che qua è in corso una resistenza di massa per la salvaguardia del territorio. Questa opposizione ha dovuto alle volte infrangere la legge, per esercitare il suo diritto per una vera democrazia sul territorio fronte a una legalità arbitraria e imposta. F. dice che “ormai non ci tiriamo indietro. Né loro, né noi. E mentre la violenza loro viene difesa, siamo sempre noi i cattivi”. E non si tratta solo della violenza delle forze dell’ordine ampiamente maggiore a quella dei manifestanti proprio per una questione di mezzi a disposizione. Ma si tratta anche di quello che i lavori TAV farebbero alla valle: l’amianto e l’uranio rilasciati dalle montagne, le malattie agli abitanti della valle, le privazioni di milioni di metri cubi di acqua potabile, la deforestazione, la militarizzazione di una valle intera. Tutto questo per un’opera che quasi nessuno in valle vuole, per un’opera che agli occhi degli abitanti sacrifica risorse e ambiente naturale e umano. “Non è violenza questa?”. Un’altra persona in un contesto simile mi aveva detto “Perché è violenza solo quando reagiamo?”
Eppure, l’opposizione al cantiere TAV a qualcuna è costata cara. Nicoletta, storica militante del movimento NO TAV, a dicembre 2022 riceve un nuovo ordine di otto mesi di carcerazione. Cecca per uno striscione solidale è stata pestata, insultata e molestata dalle forze dell’ordine. A lei hanno dato 8 mesi di carcere, alle forze dell’ordine nulla. Non c’è un rapporto paritario qui. E poi c’è Dana a cui vengono dati 2 anni, di cui 7 mesi scontati in carcere per un’azione dimostrativa pacifica sull’autostrada Torino-Bardonecchia.
Concludo queste puntate dal movimento NO TAV proprio con le parole di Dana tratte da un’intervista dopo la sua liberazione: “Non ho mai visto la condanna come un atto di giustizia e adesso si è semplicemente conclusa la mia punizione. Bloccare un’autostrada è un reato, almeno secondo il Codice penale, ma quello che è ingiusto è che la protesta NO TAV e le azioni di tutti coloro che vi appartengono vengano ridotte e questioni di ordine pubblico senza tener conto dell’alto valore politico che esprime chi difende il proprio territorio e l’ambiente”.
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