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  • Immagine del redattoreDavide Serafin

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Die Stadt Ohne Juden, ‘La città senza ebrei’, è il titolo di un libro di Hugo Bettauer, scritto nel lontano (neanche troppo) 1922. L'autore immaginava la messa al bando degli ebrei da parte del parlamento austriaco, un’ipotesi che al medesimo Bettauer doveva sembrare grottesca, assurda e remota. Una distopia evocata allo scopo di far riflettere sull’antisemitismo crescente che affliggeva il suo tempo.

Nel racconto, dopo la cacciata dei giudei, tutto inizia ad andare male: le banche, le industrie, le boutique, i locali notturni, i caffè. Senza ebrei il paese non può più andare avanti. Inizia una crisi economica senza altra soluzione che la distruzione della società.


Per certi versi profetico, quel romanzo diventa pesante come una condanna per il suo autore. Bettauer viene infatti ucciso tre anni dopo da un militante nazista mentre lavora nella redazione del suo giornale.

Dal libro sono stati tratti diversi film. Il primo è un muto del 1924, girato in puro stile espressionista dal regista Hans Karl Breslauer. La storia non è più ambientata a Vienna, né in un’altra città dell’Austria, bensì nella Repubblica di Utopia ed è ridotta a mero incubo notturno del protagonista, il parlamentare Bernart, che all’apice degli eventi è arrestato a causa delle sue posizioni antisemite. Ma Bernart infine si sveglia, dopo una notte alcolica, e scopre che è stato solo un brutto sogno. Può così consolarsi del fatto che per fortuna questi nostri ebrei sono tutti al loro posto e fanno funzionare la nostra cara economia. In fin dei conti siamo esseri umani e vogliamo solo vivere in pace.

L’approccio registico non piace a Bettauer, il quale infatti non firma la sceneggiatura dell’opera. La conclusione benevola del film avalla l’idea secondo cui un po’ di razzismo possa essere tollerato e concesso, senza passare alle forme più concrete di persecuzione, laddove vi è un interesse economico preminente.


Alla prima pellicola ne seguono altre più recenti e - a detta della critica cinematografica - decisamente meno riuscite, come A Day Without a Mexican, del 2004 (regia di Sergio Arau), ambientato in California, in cui al posto degli ebrei troviamo immigrati messicani; e l'italiano Cose dell'altro mondo, del 2011, diretto da Francesco Patierno e ispirato alla versione del 2004, ambientato in Veneto, ove a mancare da un giorno all'altro sono proprio tutti gli “extracomunitari” presenti nella zona. Un film che non ha mancato di scatenare la veemente reazione dei leghisti. Memorabile il commento di Zaia: «Bitonci ha fatto bene a presentarla [la querela, n.d.r.], perché solleva un problema del fatto che comunque bisogna finire di inondare i veneti e la gente del Nord di infamia. Vogliono dipingerci come zulù, con tutto il rispetto per gli zulù, ma è ora di finirla. Visto e considerato che poi siamo sempre noi a pagare il conto di famiglia e le bollette a fine mese» (cfr. la Repubblica, 05 agosto 2011).

Italia, 2023, cento anni dopo Hugo Bettauer. A mancare per davvero sono i lavoratori stranieri, che vengono invocati da Bankitalia: i “flussi di lavoratori [sono] insufficienti” per poter "mettere a terra" i denari del PNRR. Le imprese chiedono almeno 200mila ingressi l’anno ma nel vigente Decreto Flussi (Dpcm 29.12.2022) sono previsti per il 2023 ingressi legali in Italia con finalità lavorativa per “sole” 83mila persone extracomunitarie, di cui 44mila destinate al lavoro stagionale. Altre 30mila di queste sono indirizzate al lavoro subordinato non stagionale nei settori trasporti, edilizia, turismo, meccanica, telecomunicazioni, alimentare e cantieristica navale.

Paradossalmente sono gli stessi ministri del governo Meloni a chiedere più manodopera straniera. Daniela Santanché, ministra del Turismo, vorrebbe manodopera qualificata perché la «formazione è un tema centrale che non può essere trascurato». Il suo predecessore - facente parte dell’esecutivo Draghi -, ossia l’insospettabile leghista Massimo Garavaglia, in tempi non sospetti avvertiva: «Dovremo prendere degli stranieri altrimenti avremo problemi di personale per la stagione estiva» (cfr. Il Fatto Quotidiano, 11 maggio 2022).


Nel settore del turismo cresce costantemente questa esigenza. Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi, rivolto alla platea dell’assemblea nazionale dell’associazione che presiede, ha chiesto al governo un nuovo Decreto Flussi per far entrare almeno 100mila lavoratori. Il 25 per cento degli occupati del settore turistico viene da un paese estero ed è cruciale il riconoscimento delle competenze qualificanti. Era solo l'altro ieri quando veniva evocato lo spettro della sostituzione etnica. Ma il Paese senza immigrati sembra non poter funzionare più. Prende piede il più prosaico teorema della funzionalità economica dello straniero che sbarca sulle coste italiche. È stato persino certificato dal Documento di Economia e Finanza presentato dal ministro dell’Economia Giorgetti ad aprile 2023: meno migranti significa - letteralmente – meno PIL e più debito pubblico (+60%). Un’equazione che avrà fatto ribollire il sangue al ministro Lollobrigida, il quale - suo malgrado - nel tentativo di riproporre la complottistica narrazione della sostituzione etnica, deve ammettere che l’immigrazione è «un fatto naturale, fisiologico». Dice il ministro: «se ci sono richieste di forza lavoro, quando hai esaurito la domanda interna, ti devi dotare di forza lavoro anche che venga da altre nazioni». L’immigrato a una sola dimensione, quella economica, è ammesso purché sia assimilabile al sistema produttivo del Paese. Dalla realtà alla parodia e viceversa, il passo è breve. Direbbe Mariso Golfetto, l’imprenditore veneto interpretato da Diego Abatantuono in Cose dell’altro mondo, che «ai signoretti che continuano a rompere le balle dicendo che gli immigrati sono dei poverini, che dobbiamo aiutarli, che dobbiamo dare loro un futuro, vorrei ricordare che un futuro va dato a chi vien qua per lavorare. Se c'è un posto per lavorare. Perché prima di darlo a loro io c'ho i vecchietti, c'ho i giovani sposi, i diseredati, gli sfortunati, i malati... e poi, e poi, e poi... quando ho dato a tutti, se avanza, lo daremo anche a loro, ma siccome non avanza, niente!».


Spinto da una parte dalle pulsioni suprematiste, dall’altra dalle esigenze degli operatori economici, l’esecutivo Meloni ha agito in modo ambivalente e incerto, ma in definitiva ha dovuto mettere da parte le pulsioni più retrive e agire di conseguenza. Dapprima ha incassato dal Parlamento l’approvazione del Decreto legge n. 20/2023, sfornato da Palazzo Chigi all’indomani della terribile tragedia di Steccato di Cutro. La nuova legge ha introdotto - tra l’altro - ulteriori obblighi per i datori di lavoro che vogliano assumere un lavoratore straniero, un nonsenso vista la continua richiesta di nuova manodopera. Infatti, insieme all'invio della richiesta di nulla osta al lavoro, che va presentata dal datore di lavoro allo Sportello Unico presso la Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo, e che prevede una verifica preliminare presso il Centro per l'Impiego competente in merito alla indisponibilità di lavoratori già presenti in Italia a ricoprire la stessa posizione per cui si ha l'intenzione di procedere alla nuova assunzione, il datore di lavoro deve presentare una asseverazione che attesti la congruità della propria “capacità patrimoniale, dell'equilibrio economico-finanziario, del fatturato, del numero dei dipendenti [...] e del tipo di attività svolta dall'impresa” (ex artt. 22 e 24-bis D. Lgs. 286/1998). L’aggiunta di quest’ultimo adempimento in un procedimento già ampiamente burocratizzato è volta soltanto a causare rallentamenti o impedimenti al rilascio del permesso. L’ulteriore riformulazione apportata in sede di conversione all’articolo 3 ha poi ampliato l’accesso dei lavoratori con diritto di prelazione al di fuori delle quote di ingresso, che ora può avvenire mediante selezione diretta nel paese di origine tramite programmi di formazione professionale istituiti dalle organizzazioni datoriali e da organismi formativi e operatori dei servizi per il lavoro. La schizofrenia legislativa spinge alla selezione a domicilio dell’immigrato mentre rende difficoltosa l’uscita dal sistema di accoglienza straordinaria per coloro che arrivano nel paese irregolarmente attraverso le rotte ben note che passano per Libia, Tunisia o Turchia.


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