Le elezioni americane, soprattutto ultimamente, tendono a essere interessanti, e non solo per l’ovvia ragione che decidono chi guiderà una delle grandi potenze mondiali per i successivi quattro anni. Diciamo piuttosto che tendono a essere interessanti nel senso di “possa tu vivere tempi interessanti”, intesa come maledizione.
In particolare, gli ultimi mesi di politica americana più che una campagna sono stati un continuo rincorrersi di chaotic good e chaotic evil, spesso senza soluzione di continuità, con un'evidente accelerazione a partire dal 13 luglio, giorno dell’attentato a Trump durante un comizio in Pennsylvania. Dite la verità, vi era passato del tutto di mente, eh? Niente paura, è una sensazione comune. Eppure lì per lì era sembrato un momento segnante. Già il 27 giugno avevamo assistito al tragico dibattito tra Trump e Biden, che ha dato il via a settimane di stillicidio di pareri, perizie mediche, analisi dei recessi più oscuri di una normativa elettorale complicatissima, chiuse il 21 luglio con il ritiro di Biden e l’investitura di Kamala Harris. Già a questo punto in rete c’era stato un reset completo e non si parlava d’altro che di alberi di cocco, di gattare senza figli e di chi e cosa fosse brat, ma ancora non avevamo visto niente, perché il 6 agosto è arrivato Tim Walz, il candidato vice presidente prescelto da Kamala Harris. I conservatori americani, già innervositi dal fatto che tutti gli stessero dando degli strambi (weird) e che, non importa quanto fact checking mettessero in campo, la bufala sul loro candidato vice presidente e il divano continuava a circolare (frustrante, eh?), hanno completamente perso i filtri, quei pochi restanti.
E hanno tirato fuori un vecchio cavallo di battaglia, la minaccia comunista. Da McCarthy a Berlusconi, state sicuri che prima o poi ci si arriva. E la destra americana in questi giorni ci è andata giù pesante, in un’escalation anche abbastanza divertente da osservare. In un paio di giorni, immediatamente dopo la scelta di Walz come candidato vice presidente, la linea è stata definita. Sarah Huckabee, governatrice dell’Arkansas (praticamente per via ereditaria: suo padre è Mike Huckabee, ex governatore, volto di Fox News, cristiano evangelico) ha commentato a caldo: “Nella sua prima decisione importante Kamala rivela a chi risponde - all’estrema sinistra”. La bio di Huckabee (“Cristiana. Moglie. Madre”) fa sembrare Giorgia “sono una donna, sono una madre, sono cristiana” Meloni una scapestrata qualsiasi. Subito dopo, Trump ha tenuto una conferenza stampa a Mar-a-Lago, in cui ha sentenziato: “[Kamala Harris] appartiene alla sinistra radicale a livelli che nessuno ha mai visto. Ha scelto un uomo della sinistra radicale che ha fatto cose, ha posizioni che non è neanche possibile immaginare esistano. Punta a cose che nessuno ha mai sentito prima. Pesantemente nel mondo transgender. Pesantemente in un sacco di mondi diversi”. Don't threaten us with a good time, Donald. Senza dimenticare quello più senza filtri di tutti, che dopo Trump vuole dire qualcosa: Elon Musk. Che il 7 agosto ha twittato (pardon, xato) ai suoi quasi 200 milioni di follower: “Kamala è letteralmente comunista”.
Accidenti.
Ora, il punto non è smorzare gli entusiasmi per la ripresa di una campagna elettorale, quella dem, che sembrava defunta e invece grazie al duo Harris-Walz (e ai coniugi Obama) è viva e lotta insieme a noi, ma essere realisti: la candidata alla presidenza degli Stati Uniti, con delle più che concrete chance di vittoria, sarà davvero “di estrema sinistra”, sarà davvero “comunista”? Insomma.
Prima della pubblicazione di una parte della sua piattaforma, per inquadrare Harris si è sempre dovuto guardare indietro: mentre la sua collocazione dello spettro delle correnti dem era un po’ sfuggente, ci sono dei momenti che definiscono la sua parabola politica. Uno è sicuramente la sua campagna per le primarie del 2020 (sospesa, ma finita poi in gloria con la vice presidenza) che secondo molti ha segnato la sua fase più a sinistra. Si è trattato di fare di necessità virtù, con ogni probabilità: Harris si era trovata a non essere né carne né pesce, con Biden a destra e Bernie Sanders ed Elizabeth Warren a sinistra. E non bastava la promessa di potenziale progressismo dato dal fatto di essere la seconda senatrice nera mai eletta. Data la sua carriera di procuratrice, i detrattori (da sinistra) la chiamavano “sbirra”, e più che insistere che fosse una sbirra sì, ma “progressista” la sua campagna non poteva fare, parando le falle più grosse, come il suo appello contro la decisione del giudice californiano sull’incostituzionalità della pena di morte, per dirne una, o il suo (strategico) rifiuto di esprimersi sulle proposte di riforma delle forze dell’ordine. Dalla campagna 2020 arrivano alcune delle dichiarazioni su cui puntano il dito i Repubblicani, come il famoso stop al fracking, che nel frattempo Harris si è rimangiata. E non solo quello: fare la vice presidente di Joe Biden (e più in generale fare la vice presidente degli Stati Uniti) non è proprio il ruolo ideale per distinguersi per le politiche di “estrema sinistra”, che infatti anche dove avevano fatto capolino sono rapidamente sparite dalla sua agenda. Così il timido passaggio sul rimettere mano ai finanziamenti alla polizia, sulla scia delle proteste per l’assassinio di George Floyd è stato smentito a stretto giro. Cancellato dall’agenda Harris anche il sistema sanitario “single-payer”, mentre ha già rassicurato che manterrà la promessa di Biden di non alzare le tasse di chi guadagna sotto i 400,000 dollari l’anno. Anche sulla gestione dei confini la sua vice presidenza non ha registrato grandi risultati, e anche i più solidi fan del pragmatismo hanno vacillato sul suo secco: “Non venite. Non venite o sarete respinti” durante una conferenza stampa in Guatemala.
Non a caso, oltre all’entusiasmo dei meme online, tra chi è soddisfatto dalla parabola politica di Harris ci sono i personaggi alla Matt Bennett, cofondatore del think tank moderatissimo Third Way, che rassicura tutti di non badare alle “sbandate” a sinistra del passato.
A rendere ancora più lunare la linea di Trump & accoliti sul “comunismo” di Kamala Harris è la sua reazione di fronte all’interruzione causata da un gruppo di manifestanti per la causa palestinese durante un comizio. “I’m speaking”, ha risposto Harris, Sto parlando. È un altro meme, tra l’altro potentissimo, nel giusto contesto. Nel 2020, quando l’ha coniato, Harris era nel mezzo del tradizionale dibattito tra candidati vice presidenti, e aveva di fronte Mike Pence, allora in carica, che continuava a interromperla. Un uomo bianco, anziano, conservatore, che cerca di togliere la parola a una donna nera, e lei che lo mette al suo posto. Boom. Questo sì che è punching up. Ma rispondere: “Sto parlando. Se volete che Trump vinca, continuate così. Altrimenti, sto parlando io” a dei manifestanti che stanno sollevando quella che è senza dubbio la questione sul tavolo al momento, beh, persino quei pericolosi comunisti del New York Times si sono chiesti: Kamala Harris Is Speaking. Is She Listening? Insomma, tutto considerato, la cosa più di sinistra di Harris sembra essere Tim Walz.
Niente di tutto questo sembra però interferire con la propaganda che Trump continua a rifilare ai suoi elettori. Anzi, rilancia, postando su Truth (il social prediletto dagli estremisti di destra, soprattutto quelli che sono riusciti a farsi bannare da tutti gli altri) un’immagine generata con l’AI di Harris che tiene un comizio in uno stadio tutto decorato di falce e martello. Donald, puoi fare di meglio, go big or go home: da qui al 5 novembre ci aspettiamo di vedere almeno un fotomontaggio con la bandiera rossa su Capitol Hill. Oppure, troppi ricordi?
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