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  • Immagine del redattoreFranz Foti

Antifa, riappropriamoci di un termine demonizzato


Chi segue anche solo superficialmente i media statunitensi non avrà potuto fare a meno di rendersene conto: il termine “antifa” è uno dei più (ab)usati dalla stampa d’oltreoceano, soprattutto quella di estrema destra, al punto che nel 2017 è stata proclamata tra le “parole dell’anno” dell’Oxford Dictionary.


Come mai tutta questa popolarità per un termine mutuato dal tedesco - gli Antifa originari erano le “Antifaschistische Aktion” che tra il '32 e il '33 cercarono di opporsi alla salita del nazismo in Germania - a sua volta mutuato dagli antifascisti italiani?


Non vi stupirà scoprire che il ritorno in auge di questa parola si deve proprio a Donald Trump e all’estrema destra americana. Durante la sua disgraziata presidenza, il tycoon newyorchese sempre a caccia di un nemico pubblico da dare in pasto alla sua macchina del fango, ha individuato negli “antifa” il nemico perfetto. Un nemico che non ha esitato a indicare come gruppo terroristico da sottoporre ufficialmente all’attenzione degli organi di polizia e di intelligence americani.

Un nemico che però di fatto non esiste, perché non c’è alcuna organizzazione formale nei gruppi antifascisti statunitensi, ma solo gruppi informali dediti per lo più a manifestazioni di piazza e azioni online, che spesso vengono additati come “antifa” anche quando non fanno alcun riferimento a quella supposta sigla.

Il tentativo di demonizzazione non era - e non è - soltanto volto, in maniera non dissimile da quanto avviene in Italia con la galassia anarchica, a creare un fantomatico “pericolo pubblico numero uno” a cui addossare la colpa di ogni episodio violento dovesse scatenarsi nel paese, mentre la violenza dell’estrema destra imperversa nel silenzio generale, ma anche evidentemente ad affibbiare uno stigma negativo all’antifascismo.

Chiunque denunci o manifesti contro le politiche di estrema destra è antifa, quindi terrorista, o per lo meno connivente. Chiunque si opponga alla violenza dei gruppi - quelli sì, esistenti davvero - dell’estrema destra è antifa, quindi terrorista o per lo meno connivente.

Come spesso accade, le mode americane ci mettono qualche anno ad arrivare in Italia, ma in questo caso hanno trovato un terreno già fertilissimo, e questi primi mesi del governo Meloni hanno fatto vedere molto chiaramente quale sarà l’atteggiamento rispetto al problema dell’eversione di destra: ignorare, minimizzare, sviare l’attenzione. E farlo proprio contrapponendole una fantomatica galassia eversiva di sinistra pronta a sovvertire l’ordine costituito.

Ecco, noi pensiamo che la parola “antifa” non vada lasciata in queste mani. Pensiamo sia dovere di tutte e tutti riappropriarsene. Se opporsi al riemergere dalle fogne della storia della marea nera del razzismo, dell’intolleranza, della violenza vuol dire essere antifa, noi lo siamo e lo saremo, e con orgoglio. Al punto da scriverlo sulle magliette, come già abbiamo fatto.

Al punto da scrivere un vero e proprio “dizionario antifa”, perché le parole da conoscere per svelarne il vero significato e il contesto in cui vengono utilizzate sono molte, troppe, e usate con troppa leggerezza a volte anche dai media mainstream. E quindi, oltre gli slogan, che pure non rinneghiamo, un approfondimento puntuale per riconoscere la narrazione fascista e, con essa, i nuovi fascismi.

Per riprendere il vecchio adagio degli antifa tedeschi che si opponevano agli skinhead nella Germania post caduta del muro: «dove saranno loro, saremo noi».

A dire «ora e sempre antifascismo». Ora e sempre antifa.

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