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Certo che se delle Europee, che avrebbero bisogno del massimo di investimento nella costruzione politica – messi come siamo messi – proprio a livello culturale, strategico, di scenario, si parla solo delle candidature per le allodole (nel senso che nessuno opterà poi per Strasburgo, una volta passate le elezioni) delle due leader e delle beghe interne che riguardano una delle due, la risposta ce la si dà parecchio tempo prima di andare a votare. Peraltro la querelle rappresenta perfettamente il primo pregiudizio antieuropeo: che quelli che si fanno eleggere a Bruxelles o non ci vanno mai o comunque non gliene frega niente. Messo così, sul tavolo, sei mesi prima. Facendo un favore gigantesco ai populisti che dell’Europa pensano il peggio e ai nazionalisti che all’Europa si oppongono da sempre.
La preoccupazione massima, in un momento del genere, dovrebbe essere un’altra: quella di restituire fiducia nei confronti dell’unico orizzonte politico che abbia un senso, nel mondo in cui viviamo che è proprio quello europeo. Non una fiducia astratta e slegata dalle questioni essenziali che ci vengono poste (vedi al paragrafo precedente) ma capace di rappresentare politicamente le persone che in Europa ci vivono – e anche quelle che hanno scelto l’Europa per viverci (passaggio non più rinviabile).
Dovrebbe essere un momento in cui emergono le famiglie politiche europee, non solo nei convegni e nelle kermesse: i loro progetti, i punti fondamentali intorno ai quali ripensare la nostra convivenza, gli stessi protagonisti che interpreteranno la politica europea dei prossimi anni. In un’Europa molto meno amata di qualche anno fa, vissuta come altro da sé dalla stessa politica nazionale, in cui l’Italia conta sempre meno per le scelte del governo attuale e anche del primo Conte (quello cattivo) e dell’incredibile ultimo mandato di Berlusconi, ci sarebbe bisogno di tutt’altro.
Si dice che si vuole combattere l’astensione, astenendosi dal rappresentare il proprio paese nel Parlamento europeo una volta terminata la campagna elettorale. Non è così che si cambiano le cose: così le cose peggiorano. E danno la sensazione che più che politica quella a cui assistiamo sia pura fiction, come se non lo fosse già, da tempo e a quanto pare inesorabilmente.
C’è l’emergenza climatica, c’è la guerra, c’è la paura delle persone che, spaventate dal futuro, si abbandonano a ogni forma di nostalgia politica, scegliendo la strada del regresso e della chiusura. Contro tutto questo c’è bisogno di uno sforzo politico grandioso. Teniamolo a mente.
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