Si è tenuta la commemorazione in ricordo dello sbarco in Normandia (e non in Lombardia, come hanno detto ben quattro telegiornali nazionali), ed è stata come sempre toccante, se non fosse per il fatto che da qualche tempo è diventata occasione di miserabili rivendicazioni di parte, a maggior ragione quest’anno che è in concomitanza con la campagna elettorale per le europee più bellicista di sempre. Dei giovani che fecero l’impresa sappiamo quasi tutto, sono stati raccontati in un’infinità di libri, e poi film, serie tivù, fumetti, e qualcuno è ancora vivo per raccontarcela dal punto si vista di chi c’era. Sappiamo, ad esempio, che a parte gli ufficiali erano quasi tutti soldati di leva: quando parlano della guerra che hanno vissuto e che non vorrebbero mai più veder ripetere, la descrivono come un’esperienza terrificante, di cui certo non hanno nostalgia. Tra di loro c’erano operai, contadini, avvocati, insegnanti, medici, provenivano da ogni classe sociale, dalle grandi città e dalle campagne più sparse. Partirono perché dovevano, non perché erano esaltati da eroici furori. Gli Stati Uniti, peraltro, non avevano conosciuto un’invasione come invece era toccato ai russi, erano stati attaccati a Pearl Harbor, nelle Hawaii, e non dai nazisti, ma dai giapponesi. Al diciottenne John Smith che lavorava nella fattoria di famiglia in qualche piana dell’Arkansas in teoria poteva anche interessar poco, di ciò che Hitler stava facendo nella vecchia Europa, ma partì comunque, anche se avrebbe preferito di no, insieme a tanti altri che non sono più tornati.
Che fossero quasi tutti di leva è un altro elemento importante, perché la leva obbligatoria dovrebbe essere davvero una sciocchezza del passato da non ripetere, invece di riproporla in una campagna elettorale nel 2024, ma se ha un solo argomento a favore è che quando si prende la strada del cosiddetto esercito di professionisti, poi è molto alto il rischio di ritrovarsi con manipoli di invasati, di fanatici dell’azione, solitamente fascisti, talvolta pure banditi. Una vecchia regola dice che c’è un motivo, se esercito e polizia sono due forze separate: in teoria, la polizia serve a proteggere il popolo, l’esercito invece serve a proteggere il Paese dai nemici esterni. Quando si usa l’esercito come forza di polizia, e in Italia questo avviene da anni con operazioni senza fine tipo quella “strade sicure”, alla lunga si corre il rischio che l’esercito pensi che il nemico sia il popolo. Questo è il motivo per cui non si dovrebbero mettere militari a occuparsi di cose da civili (e su questo ci torniamo dopo), è il motivo per cui molti avevano trovato inquietante scegliere un Generale per gestire la campagna di vaccinazione per il Covid, è il motivo per cui avere le stazioni e gli aeroporti italiani presidiati da mimetiche coi mitra fa un po’ troppo Cile di Pinochet. Inoltre, il militare di professione resta in servizio a vita, quello di leva, invece, finito il suo periodo torna a casa, e di solito non vuole più saperne di indossare la divisa, che poi è quello che dice la gran parte di coloro che hanno partecipato al D-Day. In tempo di pace, il coscritto perde mesi e mesi che potrebbe impiegare meglio, senza ricevere un addestramento minimamente utilizzabile (lo sa bene chi ha l’età per averla fatta, la naja obbligatoria), mentre in tempo di guerra diventa quasi sempre, purtroppo, carne da cannone. Quando si parla con troppa facilità di riarmo, e di scenari tutti da dimostrare che ci vedrebbero in guerra di qui a qualche anno, bisognerebbe chiedere cosa ne pensano quelli che l’hanno fatta davvero, una guerra, una di quelle in cui restare vivi è un puro caso che spesso poco ha a che fare con l’eroismo e il romanticismo da propaganda.
L’esempio perfetto di agit-prop della guerra da rotocalco è il solito Vannacci, che tra la miriade di sparate (sic!) che produce ogni giorno, applaudito da gente che, a vederla, dalla leva si farebbe sicuramente esentare, ultimamente ha infilato anche i paralleli con il suo passato da incursore, colui che “nella bufera ci sguazza”, che è pronto all’azione, indomabile, incurante. Una roba talmente imbarazzante che persino membri del suo ex reparto hanno sentito il bisogno di dissociarsi. Ma lui, come il colonnello Jessep interpretato da Jack Nicholson in Codice d’onore, si vede in cima al muro, a puntare il suo fucile, e non accetta che noi poveri stronzi civili che “dormiamo sotto la coperta” di sicurezza che lui ci ha fornito gli si dica come la deve fornire, quella coperta, ma la verità è che noi non lo vorremmo proprio per niente, col fucile in mano, grazie. Nello spiegare i suoi richiami alla X Mas, tra le altre cose, Vannacci ha anche detto che la sua è un’ammirazione puramente militare per le imprese “in Grecia e a Malta”, mica per il successivo fiancheggiamento dei nazisti. E ci fosse stato uno tra i presenti che gli chiedesse “scusi Generale, sta dicendo che quindi dovremmo invadere Malta, così, per rinverdire i fasti?”. Nessuno gli ha nemmeno chiesto conto della contraddizione con le recenti posizioni espresse dal capo del partito in cui si è candidato, visto che Salvini ultimamente si è scoperto pacifista, ma in quel caso il problema è che la contraddizione in effetti non c’è, visto che solo uno dei due è sincero, mentre l’altro - lui sì - al massimo è un pacifinto che parla per mero opportunismo, uno che chiude i comizi con Generale di De Gregori facendo finta di non averla capita.
Dice una massima che la guerra è troppo importante per farla fare ai generali, e se questo è vero, allora figuriamoci la politica, e non solo in Parlamento, ma nemmeno in un assessorato al verde pubblico. Ciò nonostante, tutti danno per scontato che nelle elezioni che in Italia si svolgeranno fra oggi e domani Vannacci prenderà un sacco di voti. Dio non voglia che davvero nel prossimo futuro all’Europa tocchi di finire nuovamente in una “guerra guerreggiata”, ma di certo se dovesse accadere si spera che non tocchi a gente come Vannacci, il compito di difenderla. Già la sola idea che abbia un ruolo nel prossimo Parlamento europeo, francamente, è terrificante più che a sufficienza.
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