L’Europa matrigna ci impone - guarda un po’ - di intervenire per ridurre il fabbisogno energetico delle nostre abitazioni. È questo il reale significato della Direttiva EPBD IV che impone agli Stati nazionali di istituire piani di ristrutturazione, includendo regimi di sostegno e misure per facilitare l'accesso a sovvenzioni e finanziamenti. La nuova norma è stata approvata in via definitiva dal Parlamento europeo il 12 aprile scorso. Un colpo di coda, a detta del ministro Salvini, “l’ennesima eurotassa di Bruxelles” (che - al netto dei dazi doganali - tasse proprie non ha, ma per questo e altri argomenti rimando all’ultimissimo numero di Ossigeno).
Prima di tutto occorre dire che la Direttiva EPBD IV è una revisione di un precedente testo del 2010 (Dir. 2010/31/UE sulla prestazione energetica nell’edilizia), quindi a Bruxelles non sono diventati improvvisamente matti: norme comuni per ridurre l’impatto energetico degli edifici erano già in vigore. La revisione della direttiva è parte della Strategia del Green Deal - e in particolare di Fit for 55 -, piani che l’Unione europea ha avviato per trasformare le politiche dell'UE in materia di clima, energia, trasporti e fiscalità al fine di ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra. La Commissione ha messo nel mirino - specialmente dopo la crisi energetica del 2022 innescata dalla guerra in Ucraina - gli impatti energetici delle abitazioni dell’Unione europea, scoprendo ciò che era già sotto gli occhi di tutti: la dipendenza dalle fonti fossili, dal gas russo in particolare, e la vulnerabilità delle famiglie, colpite direttamente dalla crisi dei prezzi e dagli alti costi energetici delle proprie case. L’Italia ha subito questa crisi essendo esposta a diversi livelli di rischio, per essersi legata mani e piedi alle forniture estere di gas naturale, per aver fatto dipendere buona parte della produzione di elettricità da centrali termoelettriche, per avere un parco di edifici pubblici e privati largamente dispersivo dal punto di vista energetico nonostante la presenza di incentivi all'efficientamento tramite bonus fiscali, culminati con la sbornia del superbonus 110%.
La Direttiva non impone obblighi diretti ai contribuenti italiani, ma lo fa verso i governi che devono rivedere ora le proprie strategie e raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione entro le scadenze del 2030 e del 2050. I Paesi membri dovranno adottare misure per garantire la riduzione dell'energia primaria media utilizzata di almeno il 16% entro il 2030 e di almeno il 20-22% entro il 2035. Nell’ultima versione del PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l'Energia e il Clima, giugno 2023) gli obiettivi di consumo di energia primaria e finale al 2030 sono pari a 122 Mtep da raggiungere con una penetrazione di FER (fonti di energia rinnovabile) al 37% entro il 2030 nei consumi finali lordi per riscaldamento e raffreddamento e al 65% nel solo settore elettrico. Obiettivi fissati dal governo in carica e che attendono ancora l’approvazione definitiva di Bruxelles, la quale ha tuttavia inviato raccomandazioni (C(2023) 9607 final) abbastanza chiare: l’efficientamento energetico degli edifici procede troppo lentamente. Il governo dovrebbe ora specificare quali sono i programmi di finanziamento dell’efficienza energetica e i cosiddetti regimi di sostegno, che dovrebbero essere in grado di mobilitare investimenti privati aggiuntivi. E qui viene il bello.
Nel PNIEC si specifica che «da una prima elaborazione, [...], considerando il sistema energetico nazionale (senza considerare le infrastrutture di trasporto), si stima che, nel periodo 2023-2030, occorrano circa 217 mld di euro di investimenti aggiuntivi cumulati rispetto allo scenario a politiche correnti (pari a un incremento del 36% nel periodo considerato)». Nel settore residenziale si dovrà passare dai 62,2 mld ci costi cumulati, a 134,2 (+70 mld). A tal fine il governo prevede la riforma degli incentivi fiscali con lo scopo di identificare priorità di intervento (quali gli edifici meno performanti e le situazioni di povertà energetica) e quindi differenziare il livello di assistenza in base all’efficacia i) in termini di miglioramento della prestazione energetica dell’edificio, ii) in termini di riduzione dei consumi e di incremento dell’utilizzo delle fonti rinnovabili. Ergo, denari per tutti non ci sono, il tempo del superbonus è finito (anzi, i suoi guasti sul bilancio pubblico sono ancora da contabilizzare pienamente), servirà distinguere. Intento difficile da attuare se si considera che nel 2021 - secondo gli attestati di prestazione energetica sinora depositati presso ENEA - il 76% degli edifici residenziali ricade nelle classi di efficienza inferiori alla D (E: 16,3%; F: 25,4; G: 34,3). Gli stessi dati se confrontati nel tempo (variazione tra 2020 e 2021) mostrano tuttavia una leggera riduzione della percentuale di immobili nelle classi energetiche F e G di circa il 2%, in favore di quelle C-E (+0,5%) e quelle A-B (+1,5%), riprendendo la tendenza positiva riscontrata, invece, nel quadriennio 2016-2019 e che si era interrotta nel 2020. Ciò significa che gli incentivi servono, ma devono essere evitati tutti gli errori del superbonus, a cominciare dal rispetto del criterio di condizionalità per l’accesso al beneficio (che dovrebbe essere approvato sulla base di un progetto preliminare) e dalla quota di incentivi da riservare ai soggetti in condizione di povertà energetica (che nel nostro paese coinvolge, secondo quanto rilevato da OIPE, 2 milioni di famiglie, ovvero il 7,7% del totale).
La contestata Direttiva EPBD IV impone ai governi proprio l’obiettivo della riduzione della povertà energetica (art. 3, c. 2, lett. b), un aspetto che un ministro non dovrebbe considerare negativamente visto i livelli raggiunti dai costi per l’energia e il riscaldamento sostenuti dagli italiani dal 2020 a oggi. Stando all’ultima relazione del Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica, nel 2022 le famiglie italiane hanno consumato 47,9 Mtep di energia, il 2,7% in meno rispetto all’anno precedente, ma la spesa sostenuta per il suo acquisto è aumentata del +49,9%, a fronte di un incremento dei costi all’ingrosso dell’energia pari al 165% per il gas naturale e al 142% per l’elettricità. Applicando gli investimenti previsti in ambito residenziale per la riqualificazione energetica integrata, quindi con azione sia riguardo la riduzione della dispersione di energia sia riguardo la generazione di calore e acqua calda sanitaria, si stima una riduzione dei costi del 50%.
Ecco quindi che diventa fondamentale un corretto uso dei fondi europei, a cominciare dal PNRR - sul quale invece è calata una nebbia Fittosissima. Diventa altrettanto fondamentale una nuova politica fiscale volta alla progressività delle imposte (tutte), l’esatto contrario di quanto attuato sinora, della politica delle mancette e delle detrazioni e dell'avallo di qualsivoglia metodo di elusione o evasione fiscale.
Ora, da che parte state? Da quella di chi tira colpi all’Europa matrigna che ci impone l’ennesima eurotassa, che nasconde all’opinione pubblica come sta impiegando i denari di Next Generation EU, o dalla parte di chi sostiene la progressività fiscale, il Green Deal e un uso concreto dei fondi che l’Unione stessa mette a disposizione?
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