Dopo ogni elezione fioccano le analisi, questa non poteva fare eccezione e anzi, forse ne suscita più di altre, che un tempo si facevano al bar e al limite provocavano l’insofferenza dei suoi frequentatori, oggi purtroppo ci sono i social e in un modo o nell’altro ce le dobbiamo sorbire tutti. Quello che forse non era prevedibile era un’invasione francamente schifosa, non c'è altro termine per definirla, di post, battutine, grafici abborracciati e correlazioni pelose su come hanno votato i poveri. Sì, i poveri, parola che nessuno si azzarda più ad usare e categoria della cui esistenza forse era il caso che alcuni si occupassero in campagna elettorale, ma evidentemente non era nota ed è spuntata con loro grande sorpresa dopo lo spoglio.
E quindi è tutto un proliferare di accostamenti tra i territori in cui si percepisce il reddito di cittadinanza e voto al M5S, sottintendendo non solo un voto di scambio, ma anche un certo schifo classista. I più impegnati nell’operazione simpatia sono ovviamente gli esponenti del Terzo Polo, che poi sarebbe il quarto, che in realtà a dire il vero sarebbe tipo la sesta forza, ed è chiaro che se si fa fatica anche a capire che risultato si è ottenuto alle elezioni vuol dire che non solo non si ha in amicizia la matematica, ma nemmeno la logica.
Intanto, se è vero che la maggior parte dei percettori del RdC sono nelle regioni del Sud Italia, è anche vero che, a seconda dei periodi, stiamo parlando del 55-60 per cento circa del totale, a dimostrazione del fatto che il problema non è esattamente sconosciuto nemmeno nel “ricco nord”. Poi bisognerebbe sostanziare questo concetto di “ricchezza”, visto che dopotutto la Lombardia è tra la quarta e la quinta regione in cui risiedono più beneficiari del sostegno statale. E forse bisognerebbe anche farsi due domande sull’accuratezza della definizione, visto che un lavoratore che percepisce mille euro al mese di stipendio non riceve sostegni e non finisce nella categoria più bassa, ma se vive a Milano probabilmente fatica a pagarsi un letto in un sottoscala e a pagare le bollette. E se invece qualcuno è messo così male da esser costretto a viver per strada, faccia attenzione: potrebbe apparire da un momento all’altro Calenda a fargli la morale, con telecamere al seguito.
Certo, i terzo-quarto-sestopolisti si affrettano a precisare che il loro non è odio di classe, macché, semplicemente loro credono in un modello economico che non si basi sulle mancette a scopo elettorale, ma su lavoro e sviluppo. Dimenticando che il loro leader in seconda e perennemente a bordo di jet quasi fosse un presidente degli Stati uniti in Defcon 1 vinse le elezioni europee del 2014 infilando proprio una mancetta di 80 euro al mese, più elegantemente ribattezzata bonus col nome del suo promotore Matteo Renzi, nelle buste paghe della sua fascia elettorale più promettente (che non erano i poveri, però, nemmeno allora). Bonus che peraltro è stato sostanzialmente smontato da Draghi, nume tutelare di quell’area politica.
Ovviamente, le promesse di Salvini di stracciare le cartelle esattoriali degli imprenditori che non pagano le tasse, in un Paese impoverito da circa 200 miliardi di euro di evasione all’anno, non suscitano lo stesso sdegno, gli aiuti a pioggia ad aziende che poi dopo sei mesi smontano baracca e burattini e delocalizzano nemmeno, e alla fine fa sempre simpatia ascoltare le invettive del governatore della Campania Vincenzo De Luca, che ha passato tutta la campagna elettorale a insultare il M5S e chi prende il reddito di cittadinanza e ha contribuito così a far prendere al suo partito una tranvata in faccia di dimensioni epiche, specie dove aveva candidato i suoi fedelissimi. Chissà come mai.
Tutta gente che governa da sempre, questa che schifa i poveri - con l’aggravante di esser pure terroni - e che se davvero aveva ricette per portare sviluppo dove non c’è non si capisce bene perché non le ha applicate. Colpa di chi riceve 300 euro al mese perché non ha un lavoro, sicuro.
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