Marco Vassalotti
Chi chiede a Patrick Zaki di dissociarsi da Hamas o non capisce o fa finta di non capire

Era stata la notizia di cui si è parlato di più nel 2020 dopo il Covid, l’arresto di Patrick Zaki. Centinaia di migliaia di persone ogni giorno sui social hanno seguito le notizie che lo riguardavano per quasi due anni, tantissime hanno partecipato alle mobilitazioni di Amnesty, chiedendo la sua liberazione. Centinaia di comuni gli hanno dato la cittadinanza onoraria. Migliaia si sono riuniti in piazza a Bologna, quando finalmente è tornato in Italia. Eppure, ogni volta che succede qualcosa che lo riguarda, tra i commentatori - quelli che dovrebbero essere più intelligenti, più informati, quelli che dovrebbero conoscere e indirizzare il dibattito - c’è sempre un incredibile stupore. Nonostante il fatto che della sua storia personale e delle sue idee si sappia quasi tutto, fin dal giorno del suo arresto, È lo stupore, ad esempio, manifestato dalla destra quando i loro giornali fecero titoli a nove colonne sul fatto che è un cristiano copto, chiedendosi peraltro se la sinistra avrebbe continuato a sostenerlo, come se davvero potesse essere un motivo per fermarsi nella richiesta della sua liberazione.
È lo stupore di chi ha “scoperto” che non parlava bene italiano, nonostante non fosse un mistero il suo essere stato a Bologna solo per sei mesi, in un’università in cui si parlava inglese. Come tantissimi giovani italiani che magari studiano ad Amsterdam per sei mesi, e non per questo imparano perfettamente l’olandese.
È lo stupore di chi in questi giorni ha scoperto le sue posizioni sulla Palestina e su Israele, di cui si era occupato per anni in Egitto prima del suo arresto e su cui si era già espresso in maniera molto chiara sui social anche nei lunghissimi mesi in cui era già a casa, ma ancora sotto processo.
Qualche giorno fa Patrick Zaki lo ha ribadito, di nuovo, in un momento in cui la sua voce poteva essere importante per difendere i diritti di chi da decenni - lo scrivono tutti i rapporti di Amnesty e delle più importanti organizzazioni non governative per i diritti umani - vive in uno stato di apartheid.
Lo ha fatto a suo modo, senza peli sulla lingua. E nei suoi confronti è partito un massacro mediatico: interviste rimandate, presentazioni del suo libro annullate, attacchi personali che spesso - guarda un po’ - sono arrivati proprio da chi ogni giorno si lagna del “politicamente corretto” al grido di “non si può più dire niente”, e poi riesce a ottenere la censura di chi semplicemente dice cose diverse da quelle che vorrebbe sentire.
Patrick ha spiegato e articolato la sua posizione, senza rinnegarla, prima su Twitter e poi in una lettera a Repubblica: “Nel conflitto Israele-Palestina nessuno può essere ritenuto come filo-Hamas se sostiene la Palestina. Non sono con Hamas ma sembrerebbe che assumere la posizione di difendere i civili palestinesi vi metterà in una situazione problematica, soprattutto perché tutti i media internazionali sono pro-Israele e non parlano della grave crisi umana che c’è dall’altra parte. La mia priorità sarà sempre la vita dei civili, condannerò sempre qualsiasi violenza contro i civili in tutto il mondo, ma così facendo sarò sempre dalla parte dei deboli e contro il fascismo e l’occupazione.
Parole definitive, sembrerebbe, eppure a distanza di sei giorni da quel tweet sul Corriere della Sera Aldo Cazzullo gli ha ancora una volta chiesto di dissociarsi da Hamas. “Molti di noi si sono sentiti feriti dalle sue parole contro Israele, che ho trovato inaccettabili. Come le è venuto in mente?”, gli chiede all’inizio dell’intervista. “Quindi lei condanna Hamas?”, continua.
Ed è incredibile che Patrick si trovi costretto a ribadire ancora una volta che “certo. Io non ho nulla a che fare con Hamas! Sono cristiano e sono di sinistra, non sono un integralista islamico. In Egitto quelli come me vengono uccisi dagli integralisti islamici”.
Perché qualunque sostenitore dei diritti umani non può condividere le azioni di Hamas. Perché sostenere la causa del popolo palestinese non vuol dire condividere i modi di agire e l’ideologia di Hamas. Perché - nel caso di Patrick - non stiamo parlando di uno sconosciuto, ma di una persona nota le cui posizioni per i diritti umani e per la pace dovrebbero essere altrettanto note, per chi intervista e anche per chi legge, dopo i tre anni in cui si è parlato di lui.
Certo, è una dinamica che non stupisce, in un paese in cui Repubblica affida a un sondaggista la domanda “solidarizzi con lo stato di Israele o solidarizzi con Hamas?”.
E, purtroppo, sono sicuro che succederà di nuovo.
Quindi, un appello. Perché Patrick Zaki si è espresso già più volte su quello che succede nel Mediterraneo. E nelle prossime settimane probabilmente si preparerà un’ulteriore stretta sulle migrazioni, con la scusa del fondamentalismo islamico.
E allora, quando alla notizia di un naufragio o di un ennesimo decreto inefficace e inumano Patrick esprimerà posizioni sull’accoglienza diverse da quelle che le destre e gli editorialisti più influenti vorranno sentirsi dire, almeno - per favore - evitateci l’esibizione dello stupore.
Se non vi interessa l’intelligenza dei lettori, fatelo almeno per la vostra intelligenza.