Mentre è in uscita il nuovo numero di Ossigeno, dedicato ai problemi dell’informazione in Italia, un’altra testata si aggiunge all’elenco delle “zone di crisi” del settore: questa volta tocca a L’Espresso. Già i numerosi passaggi di proprietà avvenuti negli ultimi anni, prima con la cessione del Gruppo Gedi a una controllata della famiglia Agnelli, poi a Bfc Media, e infine a Ludoil, società petrolifera di proprietà dell’imprenditore Donato Ammaturo, non promettevano nulla di buono. Nell’ultimo caso, in particolare, l’impressione era stata quella di veder subentrare non un nuovo editore, quanto piuttosto un liquidatore.
La situazione è capitolata in questa fine estate: con la redazione entrata in sciopero per la mancanza di risposte da parte della proprietà sul futuro della testata e sulla sua erratica conduzione, l’attuale direttore Emilio Carelli ha completato e mandato in edicola il numero del 6 settembre avvalendosi di collaborazioni esterne, e il comunicato dell’assemblea di redazione è stato rimosso dal sito pochi minuti dopo la sua pubblicazione. In più, ai giornalisti che si occupano dell’online è stato rimosso l’accesso al sito internet, un po’ come quando una volta i dipendenti si presentavano al lavoro scoprendo improvvisamente di non poter più entrare dai cancelli perché erano stati licenziati nottetempo. Il penultimo direttore, Enrico Bellavia, è durato quattro mesi, da gennaio a maggio di quest’anno, anello di una catena di avvicendamenti che si era fatta sospettosamente frequente già da tempo. Articoli ritenuti scomodi vengono rimossi, perché troppo negativi verso il Governo di destra, o troppo favorevoli all’opposizione, e la pratica diviene quasi sistematica.
Così tramonta uno dei pilastri dell’informazione italiana, uno spazio che nei decenni ha pubblicato inchieste fondamentali per la vita democratica del Paese, firme più che illustri, da Enzo Biagi a Edmondo Berselli, passando da Umberto Eco e Camilla Cederna. Insieme a Repubblica, che attraversa un periodo altrettanto difficile, con una proprietà invadente, una redazione spesso altrettanto in agitazione nei confronti dell’attuale direzione, e un palese cambiamento di linea editoriale, L’Espresso è stato il settimanale di una parte d’Italia che oggi si trova un po’ meno rappresentata. Come sempre avviene in questi casi, ci sono di mezzo questioni di conti e di crisi della stampa tradizionale, ma queste sono anche ottime scuse per togliere di mezzo una voce da un panorama informatico già molto compromesso.
Simone Alliva, tra i giornalisti che hanno caratterizzato le uscite del settimanale negli ultimi anni, ne ha scritto sui social annunciando la fine del suo rapporto con la testata. «Sono entrato a L'Espresso nel 2014 - ci ha detto, raggiunto telefonicamente - con una mia identità giornalistica ben precisa che incrocia la politica, i diritti e le identità negate. Ho sempre fatto questo lavoro in grandissima libertà dentro la redazione. Poi negli ultimi due anni qualcosa si è smarrito. Ritratti di esponenti politici tagliuzzati, lavori di inchiesta sui ministri che sparivano dal sito e dai social a distanza di 12 ore dalla loro pubblicazione e voci che venivano silenziate. Non ho mai pensato di dover lottare per scrivere liberamente sul settimanale che mi ha formato e che con me ha lanciato moltissime battaglie per i diritti civili soprattutto della comunità lgbt». «Ho dovuto farlo invece - prosegue Alliva -, con moltissima fatica e una pressione non indifferente. Tutto questo considerando che avevo alle spalle un contratto non blindato. Il mio modo di fare giornalismo di inchiesta sui diritti e la politica si è scontrato con una logica per così dire conservatrice, ma anche timorosa di rettifiche e repliche da parte di chi sta al Governo e sedotta allo stesso tempo da dinamiche che poco hanno a che fare con la tradizione giornalistica a cui appartengo. Siamo così entrati in collisione perché la nuova linea politica dettata dall'editore e dal direttore e quella che io invece conosco, abito e porto dentro il giornale attraverso le voci di una comunità non era in sintonia. Finché è stato possibile ho cercato per quanto possibile di navigare controcorrente di fronte a tutto questo e a un governo che non ha nessuna idea della libera stampa, dell’informazione, della democrazia. Non mi sono fermato mai perché lo spazio in pagina per un giornalista è tutto. Poi quelle pagine sono state tolte, non a me che continuerò altrove ma a chi in questi anni abbiamo dato voce. Una perdita di storia, patrimonio culturale e libertà che riguarda tutti noi, dice qualcosa del posto in cui viviamo».
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