Io posso parlare dell’Africa, perché sono inglese, e prima era nostra. Davvero. Quando avevamo l’impero, e regnavamo in tutto il mondo, l’Africa era nostra. Ma poi, negli anni Cinquanta e Sessanta, l’Africa voleva governarsi da sola, voleva l’indipendenza, e noi abbiamo detto va bene, così abbiamo iniziato gradualmente a ridare l’Africa agli africani, ed entro la fine degli anni Settanta era tutta governata dagli africani. Ma negli anni Ottanta abbiamo ricevuto una telefonata: drin drin… pronto?
- Pronto.
- Chi è?
- L’Africa.
- Cosa vuoi?
- Stiamo morendo di fame…
- Beh, avreste dovuto pensarci prima di chiedere l’indipendenza!
È uno sketch di Ricky Gervais di qualche anno fa, un po’ cinico (nel frattempo, Gervais lo è diventato pure di più, forse troppo), ma del resto è una provocazione, e la gente in sala rideva, comprensibilmente. Lo spunto non è nuovo, e ricorda un po’ “Cosa hanno fatto i romani per noi”, il tormentone dei Monthy Python in Brian di Nazareth. Nel film, che è del 1979, si sta svolgendo una riunione del Fronte Popolare di Giudea (o forse il Fronte Popolare Giudeo, ma qui la faccenda si farebbe complicata), e viene approntato un piano per costringere Pilato a smobilitare l’occupazione imperiale e tornare a Roma, quando appunto John Cleese pone la fatidica domanda. Lo fa retoricamente, ma dalla platea iniziano a rispondergli seriamente: l’acquedotto, le fognature, le strade, l’irrigazione, la medicina, i bagni pubblici, le scuole, e poi ovviamente il vino… È un classico della comicità, meritatamente. Ma è pur sempre comicità: Federico Rampini, invece, ci ha fatto un libro. Serio. E c’è gente, là fuori, che lo sta prendendo per tale. Malgrado il titolo, che è Grazie, Occidente!, proprio così, col punto esclamativo, sobrio. Lo pubblica Mondadori, e l’autore l’ha presentato sui social con un breve video personale, lui inquadrato di tre quarti, la solita zazzera ribelle e canuta, la camicia a quadretti, le immancabili bretelle. «È ora che qualcuno lo dica - declama -, grazie Occidente! Ma queste due parole non le troverete da nessun’altra parte, se non nel mio libro. Tutto il bene, tutto il bene che noi abbiamo fatto a noi stessi e agli altri, questo tema è il tabù supremo della nostra epoca».
«Miliardi di esseri umani - prosegue poco dopo -, cinesi, indiani, africani, sudamericani, sono vivi, oggi, grazie a noi». Il libro è quasi una ristampa, visto che appena due anni fa, in Suicidio occidentale - Perché è sbagliato processare la nostra storia e cancellare i nostri valori, Rampini sosteneva più o meno le stesse cose: “L’ideologia dominante, quella che le élite diffondono nelle università, nei media, nella cultura di massa e nello spettacolo, ci impone di demolire ogni autostima, colpevolizzarci, flagellarci. Secondo questa dittatura ideologica non abbiamo più valori da proporre al mondo e alle nuove generazioni, abbiamo solo crimini da espiare. Questo è il suicidio occidentale”.
Di nuovo, la tesi non è inedita: Rudyard Kipling l’aveva messa in versi, nel 1899, nella poesia Il fardello dell’uomo bianco, che inizia così:
Raccogli il fardello dell’Uomo Bianco
Disperdi il fiore della tua progenie
Obbliga i tuoi figli all’esilio
Per assolvere le necessità dei tuoi prigionieri
Per vegliare pesantemente bardati
Su gente inquieta e selvaggia
Popoli da poco sottomessi, riottosi,
Metà demoni e metà bambini.
Dev’essere una lettura che circola, specialmente la parte sui demoni, tra le firme del Corriere della Sera, visto che pochi giorni fa Angelo Panebianco si è fatto pubblicare un pezzo che diceva, tra le altre cose, “Gli adoratori del Diavolo, in odio all'Occidente, sono pronti a sostenere qualunque regime torturi e ammazzi i sudditi che non si genuflettono. Li troviamo sia a destra che a sinistra. Per gli adoratori del Diavolo le colpe dell'Occidente giustificano il comportamento dei tiranni. Gli adoratori del Diavolo, in realtà, sono in malafede”.
Non è il caso di insultare l’intelligenza dei lettori delle Bolle facendo un elenco che conoscono già, peraltro troppo lungo per questa rubrica: la salmonella portata dai conquistadores di Cortez che sterminò gli aztechi, il genocidio dei nativi americani, le torture e gli omicidi di massa di Leopoldo re del Belgio in Congo, e avanti fino al colonialismo capitalistico attuale, predatorio quanto quello precedente, che ammazza, desertifica, inquina, avvelena. Sono tutte cose che sappiamo, ma giova forse aggiungere che anche nel corso di un’emergenza globale recente come quella pandemica, di fronte al problema dell’approvvigionamento dei vaccini, i Paesi ricchi non sono stati poi così generosi, anzi. Inoltre, ripeterlo turberebbe Rampini nella sua convinzione che noi siamo i buoni, i giusti, i democratici. Talmente buoni che, per difendere le nostre democrazie, le stiamo limitando e trasformando in stati di polizia, un po’ dappertutto. E facciamo leggi apposite per stabilire una cittadinanza di serie A e una di serie B, quando il colore e l’accento di qualcuno che cammina per le nostre vie non ci piace.
L’aspetto da sottolineare, però, è la solidità di queste convinzioni. Giacché quando Rampini era corrispondente in Cina, ne era un entusiasta, e nemmeno allora poteva esimersi dal metterlo per scritto, quella volta in Occidente estremo. Il nostro futuro tra l'ascesa dell'impero cinese e il declino della potenza americana; solo che, quando poi il suo giornale l’ha mandato negli Stati Uniti, e poi c’è stato l’avvento di Donald Trump, l’America non gli sembrava più così tanto in declino, dopotutto, e allora è diventato filoamericano e filotrumpiano. Il che ci porta a una modesta proposta, visto peraltro il successo della raccolta delle firme per il referendum sulla cittadinanza, che in fondo un po’ c’entra con tutta questa faccenda: possiamo dar vita a una petizione, da sottoporre alla direzione di via Solferino, perché mandino Rampini in qualche posto meno impegnativo, magari con Panebianco? Tipo, chessò, a Spilinga: tempo due mesi e ci farà una testa così sulla nduja (e Mondadori gli pubblicherà un saggio sull’argomento), ma almeno stiamo tutti più tranquilli.
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