Davide Serafin
Cosa resterà della progressività fiscale

Annunciata in pompa magna oggi, durante la conferenza stampa a seguito del Consiglio dei ministri, l’ennesima riforma dell’imposta sul reddito delle persone fisiche.
Dal prossimo anno le aliquote IRPEF saranno ridotte a tre con l’accorpamento della prima e seconda aliquota al 23 per cento e le restanti due, fissate al 35 e al 43 per cento. Un intervento che, a parità di detrazione, produrrà i suoi massimi effetti (-5% di riduzione di imposta) tra 21 mila e 28 mila euro di reddito imponibile e che però garantirà piccole riduzioni per tutti i redditi (a 200 mila euro di reddito imponibile, il risparmio d'imposta è stimabile in 260 euro). Al momento non sembrano cifre destinate a cambiare le sorti dei contribuenti italiani, ma a bilancio incideranno per 4,1 miliardi. Giudicate voi se spesi bene o male…
L’intera operazione sarà accompagnata da una non meglio specificata revisione delle cosiddette tax expenditures (deduzioni e detrazioni di imposta) che tuttavia costituiscono un problema di non poco conto. Quelle che gravano sull’IRPEF sono complessivamente 600, valgono 125 miliardi di euro e sono fortemente concentrate: il 55,4 per cento delle risorse è indirizzato a un numero relativamente basso di fruitori, appena 425 mila (pari allo 0,35 per cento di tutti i contribuenti che usufruiscono delle tax expenditures in Italia). È difficile tuttavia stimare gli effetti di quest’ultimo intervento dal momento che non sono stati divulgati ulteriori dettagli. Nessuna notizia - ovviamente - per quanto concerne le due gravi malattie che affliggono l’imposta sui redditi: nessun aumento in vista per i redditi più elevati (anzi) e soprattutto nessun intervento contro l’erosione della base imponibile, quest’ultima sempre più attaccata dai regimi sostitutivi e speciali che ogni governo mette in atto per accontentare la propria base elettorale. Cosa resterà della progressività fiscale? Poco o nulla, purtroppo.
Per quanto riguarda l’imposta sui redditi delle società e degli enti è prevista una «riduzione dell’aliquota IRES qualora vengano rispettate, entro i due periodi d’imposta successivi a quello nel quale è stato prodotto il reddito, entrambe le seguenti condizioni: i) una somma corrispondente, in tutto o in parte, al detto reddito sia impiegata in investimenti, con particolare riferimento a quelli qualificati, e in nuove assunzioni; ii) gli utili non siano distribuiti o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’attività d’impresa». Che dire: da un lato si vaneggia di extraprofitti, facendo il muso duro contro le banche o chicchessia, stabilendo norme che fanno fatica a reggere il vaglio costituzionale, dall’altro si vuole ridurre l’aliquota IRES e cancellare l’IRAP, salvo poi aggiungere - fate attenzione - una «sovraimposta IRES tale da assicurare un equivalente gettito fiscale». Alla faccia della semplificazione fiscale.