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  • Immagine del redattore Paolo Cosseddu

D’accordo?!?




Domani Netflix mette online Wanna, la docuserie su Wanna Marchi, la figlia, il “maestro” Do Nascimento, il loro business, le truffe, il processo, le condanne, e tutto ciò che è venuto dopo, e potrebbe essere una buona idea dargli un’occhiata vista l’uscita a pochi giorni dalle elezioni.


In un’intervista a Badtaste, uno degli autori, Gabriele Immirzi, ha detto che «In Italia la truffa è il reato in cui più di altri la vittima pare più colpevole del truffatore. Da noi essere percepito come poco sveglio ti rende odiato, non li amiamo quelli che si fanno fregare. Abbiamo il culto della furbizia». Anche se i fatti raccontati si svolgono molti anni fa, dai primi inizi sulle tivù private fino all’inchiesta del 2001 e le successive vicende giudiziarie, questo tema della colpevolizzazione della vittima è diventato piuttosto attuale, in questa campagna elettorale. Per esempio, per via della crociata in corso contro il reddito di cittadinanza: inizialmente, la destra ci si è buttata a capofitto, almeno finché non ci ha pensato Berlusconi, che di masse qualcosa ne capisce, a modo suo, a mettere un freno. Poi hanno iniziato a uscire sondaggi con il M5S in risalita, e allora anche Salvini e Meloni hanno iniziato a essere meno categorici. Con qualche difficoltà a risultare credibili, però.


Calenda e Renzi, dal canto loro, dicono di volere una riforma del Rdc, ma ogni loro parola sprizza disprezzo per chi ha la colpa di non avere un lavoro, e infatti prevedono misure probabilmente impossibili per mantenerlo. La tesi del leader dei centristi è che se un infermiere guadagna poco è per colpa di chi prende soldi per non fare niente. Non per via delle disuguaglianze, no: per colpa di chi è più povero di chi alla povertà ci va abbastanza vicino. E mentre Renzi va avanti e indietro col jet privato, precisa che i problemi ambientali si risolvono con ben altro che non vietandoli, e che alla fine, implicitamente, lui può permetterselo e se tu non puoi non è che puoi più di tanto rompergli le scatole.


Poi c’è la colpevolizzazione delle donne, e questa a dire il vero non manca mai, è sempre pronta a rispuntare ogni volta emergono denunce di molestie, la politica non poteva essere esente anche se è una novità che se ne parli in campagna elettorale, periodo in cui già di solito si tocca un certo livello di bassezza, ma una storia così orrenda e così malgestita lascia basiti.


Infine, c’è il tema dell’eterno ritorno, perché Wanna Marchi è pur sempre uno dei frutti della cultura televisiva dei decenni scorsi: ma se con la tivù si può cambiare canale o anche spegnerla, se esce dallo schermo per governare il Paese è un bel problema, non restano molti posti in cui rifugiarsi. E certo, oggi ha il peso che ha, ma anche se TikTok conta più dei confronti televisivi, anche McLuhan forse ammetterebbe che più o meno i contenuti sono rimasti gli stessi, e che quindi non è poi così sempre vero che “il medium è il messaggio”. È la stessa Italia che avevamo già visto e sperimentato, quella in cui non torna solo Wanna Marchi, ma tutto il resto, in una versione però se possibile ancora più cupa e terrificante. Non è nemmeno una replica, è un requel, come lo chiamano gli esperti: unione di reboot, ovvero un modo per raccontare una nuova versione di una vecchia storia ma con personaggi nuovi, e sequel, vale a dire seguito, in cui far comparire le star delle puntate precedenti per dare un senso di familiarità al pubblico.


E certo, in queste poche settimane di campagna elettorale ognuno ha avuto modo di far fioccare i propri personali distinguo su ciò che ritiene inadeguato delle proposte alternative, ma adesso che siamo a pochi giorni dall’evento non sarebbe forse il caso di riflettere bene se è proprio il caso di rivedercelo, questo film? Per non ritrovarsi poi a pentirsene amaramente, giusto il giorno dopo. Anche perché, come ci insegna Wanna, già sappiamo che se ci facciamo fregare la colpa sarà la nostra. D’accordo?!?

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