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Immagine del redattore Paolo Cosseddu

Di Berlusconi ce n’era uno



Di fronte alla morte è comportamento civile mostrare, se non rispetto, almeno una certa pietas, anche se nei commenti della gente comune che nei prossimi giorni accompagneranno la scomparsa di Silvio Berlusconi se ne sentiranno di molto più netti e opposti. È sbagliato però trasformare quella pietas in agiografia, quando si ha a che fare con un personaggio pubblico di notorietà mondiale che, nel corso della sua vita, di ombre ne ha proiettate tante. E quindi, anche volendo parlare del Berlusconi che ha “fatto cose”, che ha “segnato” e “cambiato” la storia del Paese, come tutti stanno ripetendo a macchinetta da qualche ora, come se ognuno avesse imparato a memoria le stesse battute, non si può derubricare le conseguenze di quel cambiamento e tutto il resto, il populismo, l’impronta culturale spregiudicata, gli scandali e così via a capitolo a parte: al limite, è comprensibile - per quanto non esattamente giusto - che lo facciano la sua azienda e la sua parte politica. Ma gli altri media e gli avversari no.


Non si può, come stanno facendo tutti, fare il titolo di apertura e i successivi sulla morte, sulla famiglia, sui successi politici, su quelli imprenditoriali, persino su quelli calcistici e poi solo come quinta o sesta notizia ricordare il resto, come se scrollando l’home page fino a metà a quel punto si stesse parlando di un’altra persona: di Berlusconi ce n’era uno, nel bene e nel male, e tutte quelle cose le ha fatte sempre lui, semper lu. E siccome il giornalismo è fatto di sintesi, la notizia va data per intero, tutta insieme, come peraltro stanno facendo tutti i giornali internazionali. Come fa il Wall Street Journal, un esempio tra molti possibili: “Silvio Berlusconi, magnate dei media che ha dominato la politica italiana per anni, muore a 86 anni. Figura divisiva in Italia, è stato bersaglio di ridicolo all'estero per le sue battute ribalde, gli scandali sessuali e la sovrapposizione di interessi politici e commerciali”. Semplice, giusto. Senza esagerare, e però anche senza far finta di niente per la paura di essere accusati di poca sensibilità, ma semplicemente dicendo la verità. E, soprattutto senza cadere nell'eccesso opposto come Toni Servillo nella scena del funerale (appunto) ne La grande bellezza: funerali di Stato dai presupposti discutibili, Parlamento chiuso, appuntamenti rinviati per eccesso di vicinanza che non dovrebbe esserci andrebbero lasciati alla sola iniziativa dei suoi sodali, per tutti gli altri composte condoglianze sarebbero più che sufficienti.


Anche perché, se non si fa così, e andrebbe detto soprattutto agli avversari che stanno twittando e sfilando davanti ai microfoni, con tutti i problemi che già abbiamo in questo Paese non solo ci tocca pure il dibattito sulla figura di Berlusconi, quello è inevitabile, ma diventa difficile anche solo alzare il ditino di fronte al tentativo di beatificazione. Almeno quella, per piacere, no.

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