Si chiama così la raccolta di racconti di Davide Serafin, otto storie nella crisi climatica.
Dire la verità è esattamente quello che non facciamo, che non ci conviene fare. Preferiamo raccontarci bugie, negare l’evidenza, banalizzare i fenomeni a cui assistiamo come se non fossero davvero così pericolosi.
Vale un po’ per tutto quanto. Non dicono la verità su nulla, parlano d’altro, distraggono l’opinione pubblica con falsi argomenti. Depistano, soprattutto.
Non è il caso di essere troppo drammatici. Il 22 gennaio 2017 Kellyanne Conway, consulente di Trump, durante l’intervista Meet the Press con Chuck Todd (NBC) lo chiarì perfettamente. La frase è un manifesto della nostra epoca. Una vera e propria lapide: «Don’t be so overly dramatic about it, Chuck. You’re saying it’s a falsehood, and they’re giving — Sean Spicer, our press secretary, gave alternative facts to that.»
Siamo di fronte a una realtà che non lo è, in cui tutte le possibilità di interpretazione sono contemplate e quindi si annullano tra loro, in cui nulla importa davvero. Non è il caso di drammatizzare. Non sono bugie, le bugie non esistono perché in fondo non esiste la verità.
Come ci racconta Serafin, il clima è devastato da questo tipo di retorica – una retorica che non fa altro che esasperare l’impatto dei cambiamenti climatici.
Meloni è campionessa in questa disciplina. Dopo aver attaccato per anni Greta Thunberg, il suo «fanatismo» e «il fondamentalismo climatico del Green Deal» che avrebbe impoverito la nostra società e favorito in particolare i cinesi, è intervenuta alla Cop27 nella sua nuova veste istituzionale come se fosse un’attivista per il clima del venerdì.
Parlando dell’impegno dell’Italia per la decarbonizzazione, in collaborazione con i paesi africani (!), ha anche dichiarato: «Siamo in un momento decisivo nella lotta ai cambiamenti climatici. Negli ultimi mesi ne abbiamo sperimentato i drammatici effetti in tutta l’Europa, in Pakistan, nel Corno d’Africa e in molte altre regioni del pianeta. Siamo tutti chiamati a compiere sforzi più profondi e più rapidi per proteggere il nostro pianeta, la nostra casa comune. Nel farlo, dovremo tenere le persone al centro e trasformarci di conseguenza, unendo la sostenibilità ambientale a quella economica e sociale.»
Se poi le popolazioni del Medio Oriente o del Corno d’Africa dovessero cercare di raggiungere il nostro Paese, non sarebbe un problema ostacolarli a tutti costi, magari allungando il percorso fino ad Ancona o Ravenna, per fare un danno alle odiate ong. Sempre in nome della cooperazione con i Paesi più svantaggiati, non c’è dubbio.
Tutto torna perché che si confonde tutto quanto. E non importa spiegare o risolvere alcunché, importa speculare sulla vita delle persone e del pianeta. In nome dei valori altissimi a cui è improntata l’azione del nostro governo, nel momento decisivo che stiamo attraversando, fino alla fine.
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