Manca poco più di un mese alle elezioni che il 5 novembre sanciranno chi sarà a succedere a Joe Biden alla Casa Bianca. Come abbiamo scritto con Paolo Cosseddu in America vs America, benché tutte le elezioni siano importanti, queste lo sono un po' di più. È la strettissima attualità a ribadirlo, come detto nella newsletter di domenica scorsa. Oggi però vogliamo concentrarci brevemente sul fare il punto della situazione: chi è in vantaggio? E quanto? Cosa ci aspetta da qui in avanti?
Al momento tutti i principali aggregatori di sondaggi - dal NYT a 538 a RealClearPolling - danno Kamala Harris in vantaggio su Donald Trump, sia nel voto popolare che in quello dei grandi elettori.
Nel primo caso, si tratta di un vantaggio piccolo ma abbastanza solido. Harris, infatti, viaggia da un mese e mezzo tra i 2,5 e i 3 punti percentuali sopra Trump. Si tratta, quindi, di un dato apparentemente piuttosto stabile, specie considerando che non ha risentito particolarmente né in positivo né in negativo del dibattito del 10 settembre, che secondo la stragrande maggioranza dei commentatori è stato vinto da Harris. Potremmo leggere negativamente il fatto che questa vittoria non le sia servita granché a guadagnare terreno, ma d'altro canto non ha risentito di un calo una volta che l'entusiasmo è passato. Anzi, è interessante notare come dopo un'estate che l'ha vista protagonista di una grande rimonta - ricordiamo che il giorno della sua indicazione come sostituta di Biden, Trump era dato in vantaggio di 3 punti, mentre ora le parti si sono invertite - la fase di "stanca" che molti prevedevano ancora non è arrivata.
Per quanto riguarda l'electoral college, il complesso sistema di voto che bilancia il peso dei singoli stati e che noi in genere chiamiamo "grandi elettori", le cose sono un po' meno rosee. Ricordiamo che gli stati in bilico - il cui voto è considerato decisivo in questa tornata - sono North Carolina, Pennsylvania, Nevada, Michigan, Wisconsin, Georgia e Arizona. Gli altri stati sono definiti "sicuri" perché sono tutti sostanzialmente già considerabili schierati con l'una o con l'altro.
Per ottenere la vittoria è necessario avere 270 voti dei grandi elettori. Contando solo gli stati "sicuri", al momento è comunque Harris in vantaggio, con 226 voti contro i 219 di Trump.
Gli stati in bilico, però, ne assegneranno altri 93, e nella maggior parte di questi la distanza tra i due candidati è talmente piccola da non poter dire con sicurezza nemmeno chi sia davvero in vantaggio.
Al momento, Harris sembrerebbe essere in vantaggio in Pennsylvania, Nevada, Michigan e Wisconsin, mentre Trump avrebbe la meglio in North Carolina, Georgia e Arizona.
Se così fosse, Harris arriverebbe a 276 grandi elettori, e sarebbe quindi la prossima Presidente degli Stati Uniti.
Ma il vantaggio di Harris in Pennsylvania, Nevada e Michigan è di appena un punto percentuale, così come quello di Trump in North Carolina, dati che peraltro hanno subito diverse variazioni nelle scorse settimane, e sono quindi ancora meno affidabili. Va però notato come in quasi tutti gli stati in bilico, compresi quelli che ancora sembrano pendere per Trump, Harris ha aumentato significativamente i consensi dei democratici rispetto a quelli registrati da Biden al momento del suo ritiro. È però destinata ad aumentarli ulteriormente? Impossibile prevederlo.
Cosa ci aspetta da qui in avanti?
Dal punto di vista delle classiche schermaglie elettorali cui ci ha abituato la politica USA, non moltissimo. Ieri sera si è svolto un piuttosto noioso dibattito tra i due candidati vicepresidenti, JD Vance e Tim Walz - ci torneremo dopo -, e pare non ce ne saranno altri. Né sono previste grandissime kermesse, nelle prossime quattro settimane, o comunque eventi che abbiano una portata sufficiente da influenzare l'elettorato.
È probabile che a dominare il discorso pubblico sui media sarà inevitabilmente la politica estera. Se Biden riuscisse a ottenere il cessate il fuoco che chiede da mesi sarebbe indiscutibilmente una vittoria per i democratici - e soprattutto un bene per le popolazioni civili coinvolte loro malgrado nel conflitto - ma a questo punto risulta piuttosto difficile da immaginare. D'altro canto, è bene ricordare che la politica estera, pur essendo uno degli ambiti su cui il Presidente ha maggiori poteri, negli Stati Uniti, è raramente stata determinante per decidere una tornata elettorale. E leggendo l'esteso e interessante focus group condotto dal New York Times tra un campione di elettori indecisi, è piuttosto evidente come ancora una volta sia l'economia l'argomento determinante, seguito da quello dell'aborto. E se su quest'ultimo Harris vince a mani basse, sul primo Trump sembra nonostante tutto non più convincente, ma per lo meno già testato.
Quindi cosa dobbiamo trarne?
In sintesi, il vento sembra ancora soffiare nella direzione dei democratici e di Kamala Harris, ma i blu farebbero un grosso errore a considerare la vittoria già in tasca. Non lo dicono solo i numeri, ma anche gli approfondimenti tra l'elettorato, che mostrano come tra gli indipendenti e gli indecisi Harris sia ancora percepita come una figura di cui si sa troppo poco in termini di piattaforma politica, specie in campo economico. E se Trump è considerato dai più come un una figura a dir poco spregevole ed eversiva, molti americani confessano che - a torto o a ragione - si sentivano economicamente più sicuri quando era alla Casa Bianca c'era lui.
Sarebbe inoltre rischioso da parte dei dem farsi prendere troppo dalla loro stessa retorica. Ieri sera JD Vance - che anche su questa rivista e nel libro abbiamo giustamente descritto nei suoi innumerevoli difetti - è stato per buona parte del dibattito molto più efficace e incisivo del buono e simpatico Walz. Vance ha mentito spudoratamente, ma ha mostrato che aver studiato con profitto a Yale lo renderà meno "popolare", ma molto più avvezzo alle astuzie retoriche che in un dibattito sono molto utili. Walz invece è apparso poco sicuro e troppo ansioso di sembrare un bravo ragazzo, riuscendo a mettere all'angolo il suo avversario solo nella fase finale dello scontro. Certo questa fase finale era proprio sull'aborto e soprattutto sui fatti del 6 gennaio, due veri punti deboli dei repubblicani, sui cui il castello di sofismi di Vance è crollato miseramente, ma sottovalutare gli argomenti, per quanto spesso ripugnanti, dei repubblicani e la loro presa sull'elettorato, sarebbe appunto un grosso errore.
Insomma, per restare in linea su una campagna elettorale che per i repubblicani è cominciata attaccando le "gattare zitelle" e proseguita parlando di immigrati che mangiano cani e gatti in Ohio, non possiamo che concludere con un classico "non dire gatto..."
America vs America è una rubrica e una newsletter di Ossigeno e un libro per People, a cura di Paolo Cosseddu e Francesco Foti.
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