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  • Immagine del redattore Paolo Cosseddu

Eravamo ricchi e non lo sapevamo



Due giovedì fa, il 22 settembre, 72 ore prima delle elezioni, il sito dell’Università di Ferrara ha pubblicato una di quelle notizie che di certo non avrebbero dovuto passare sotto silenzio, anzi, sarebbe dovuta finire sulle prime pagine, sulle bacheche dei social, nelle scalette dei talk: il Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Prevenzione ha infatti scoperto che negli scarti della lavorazione del granito nella cava di Buddusò, in provincia di Sassari, si trova quello che potrebbe essere il più grande giacimento di materie prime critiche d’Europa.


Detta così la notizia può forse lasciare indifferenti, ma è di quelle che possono cambiare il volto e l’economia di un continente, oltre che di un Paese. E stava lì, nei detriti di una cava: la questione è tecnicamente complessa, ma si potrebbe sintetizzare spiegando che alcuni materiali presenti nel magma si depositano nel granito e diventano scarti quando viene estratto. Alcuni già venivano recuperati per l’uso nell’industria delle ceramiche, ma la scoperta di Unife è stata quella di trovarne in gran quantità di molto più rari e preziosi. Si tratta di materie prime che stanno dentro ogni dispositivo digitale in circolazione, e per i quali al momento l’Europa dipende soprattutto dalla Russia e dalla Cina. Secondo uno studio realizzato da European House- Ambrosetti, solo in Italia la difficoltà di approvvigionamento di materie prime critiche seguita all’invasione dell’Ucraina mette a rischio un terzo del Pil, oltre 500 miliardi di euro. Altro che Pnrr.

E non basta, perché il bisogno di queste materie prime è destinato a crescere vertiginosamente in questi anni, visto che sono fondamentali per realizzare le tecnologie di decarbonizzazione, di abbandono delle fonti fossili, di transizione verso le rinnovabili.


Che questa scoperta sia avvenuta proprio tre giorni prima delle elezioni fa pensare, specie dopo aver passato agosto e settembre a dibattere di nucleare e di rigassificazione come di soluzioni sostenibili e di lungo periodo. Mentre del nucleare si straparla indicando tempi di implementazione - e costi - più vicini al giorno del mai che non al tipo di soluzione che l’emergenza richiederebbe, e mentre il rigassificatore attende tempi burocratici che sono indifferenti a quelli stagionali e soprattutto a quelli dei consumi energetici, il risultato è che intanto, per non sbagliare, si va avanti con le fonti fossili, perché il giochino è questo: parlare d’altro, non tanto per realizzare davvero quell’”altro”, ma per spostare il focus altrove, dirottare ricerca e finanziamenti sulle rinnovabili, ritardare sine die la decarbonizzazione e alla fine proseguire spediti con petrolio e gas. Intanto, in Sardegna la cava di Buddusò potrebbe iniziare a operare in tempi brevissimi, perché già molte aziende lavorano sul sito nel recupero degli inerti e potrebbero aggiungere all’elenco le materie prime critiche con poche modifiche tecniche ai macchinari già esistenti. Sarebbe stato bello poterne parlare prima del giorno del voto, ma evidentemente non era abbastanza interessante.

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