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  • Immagine del redattore Paolo Cosseddu

Eterno ritorno


Da qualche settimana nel Regno Unito si teorizza l’italianizzazione della politica inglese, e non in senso buono (posto che possa esserci un senso buono), tant’è che un paio di giorni fa l’Economist ci ha fatto una copertina che ha fatto discutere, come da copione.

Nel frattempo, qui in Italia si snocciolava un’attesa per l’inizio della nuova legislatura che è sembrata lunghissima, e che per un po’ ha fatto sperare che proprio su quel tipo di politica politicante fossimo in grado di mantenere il primato nazionale: nel senso, assistere a un clamoroso fallimento ancor prima di iniziare, persino più rapido di quello di Liz Truss. E Berlusconi ci ha provato, questo è sicuro: ah, che bello se gli audio rubati (forse) e le dichiarazioni improvvide avessero fatto saltare il tavolo. È stato bello sognare, ma poi è suonata la sveglia.


Ancor prima che Meloni avesse ufficialmente accettato l’incarico, ieri, già circolavano le prime franche ammissioni di un certo entusiasmo, anche da persone di area progressista, per la sola imminente prospettiva di vedere una donna premier. Seguivano analisi psico-fisiognomiche dei maschietti che circondavano Giorgia Meloni mentre diceva il minimo dopo l’incontro con Mattarella: guardate come la soffrono, come si vede che la vogliono far fuori, hanno osservato alcuni. Ma magari. Si può dire? Diciamolo. Non per trovarceli al suo posto, ma nella speranza che fallendo lei se li trascini tutti giù per lo scarico. Non “in quanto donna”, anzi, è proprio la valutazione “in quanto donna” posta davanti a tutto il resto, che perpetua l’equivoco: e sono almeno due mesi che donne, femministe, intellettuali, militanti che hanno fatto e fanno la storia di questo Paese con le loro lotte, che lo dicono. E dovranno ripeterlo ancora per un bel po’, se questo è il mood.


L’elenco dei ministri - e delle ministre, of course - basta a dimostrare che non siamo di fronte a una rivoluzione, anzi: una lista di vecchi arnesi, quasi tutti, e se possibile i nomi nuovi promettono pure peggio. Un Governo brutto, ma brutto, che ha più di una casella in comune con quelli dell’ultima legislatura e infatti, beh, a dire il vero nemmeno loro erano proprio splendidi: è il bello del ribasso, perché se il modello precedente è di alto livello allora tocca essere all’altezza, se invece era scarso autorizza chiunque a pensare “mio cugino lo farebbe meglio”.


Intanto, in quell’Inghilterra in cui il precedente di Margaret Thatcher è ancora oggi paradigma di conservatorismo e regressione sociale, si ventila l’ipotesi che possa essere ancora Boris Johnson, a rimpiazzare chi a sua volta lo aveva rimpiazzato. Nel Paese occidentale forse più conservatore di tutti - a prescindere dalle simpatie per la defunta regina che molti coltivavano, la sola permanenza della monarchia dovrebbe esserne un segno piuttosto tangibile - i Tories sono al minimo storico, e non per un accidente del destino. In This England, una serie appena andata in onda, un impressionante Kenneth Branagh interpreta Bojo nel corso della sua scellerata gestione della pandemia: quelli che non conoscevano il personaggio scoprono uno storico di levatura, formidabile conoscitore di Shakespeare, molto più dei cugini di quasi chiunque, e al tempo stesso un completo incapace. Che ha traccheggiato sulle misure di contenimento del virus, un po’ come tutti i governi del mondo che si sono trovati impreparati di fronte alla pandemia, certo, ma mettendoci del suo e causando molti, molti morti. E la Brexit, pure, nell’entusiasmo generale dei suoi compatrioti. Ciò nonostante, non si esclude il ritorno.


La nuova generazione, che sembra dimostrare una certa coscienza politica - scioperi del clima e nuovi movimenti transfemministi sono state tra le poche cose che si sono mosse in questi anni - non aveva vissuto l’epoca d’oro (si fa per dire) del berlusconismo e i suoi governi inguardabili, e ora avrà l’occasione di capire meglio di cosa parlano quelli un po’ più vecchi quando raccontano quei tempi: è la clessidra di Nietzsche, che gira e rigira nel suo moto oscuro e demente. E, come in tutti i processi ripetuti, le copie successive vengono sempre un po’ peggio delle precedenti.





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