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I primi giorni di ottobre, il sindaco Nardella incassa l’approvazione in Consiglio comunale della misura anti-Airbnb, che prevede lo stop alle nuove registrazioni a uso turistico nella zona Unesco, e incentivi per chi torna alla locazione ordinaria. Un provvedimento presentato come “risposta al disagio crescente di studenti, giovani coppie, famiglie in difficoltà, anziani pensionati”, “contro la rendita passiva e parassitaria”, che vuole “invertire la rotta sul turismo mordi e fuggi”. Ma più che una conquista, la misura sugli Airbnb è uno specchietto per le allodole, che sposta l’attenzione dal problema reale: Firenze è diventata una città invivibile. E nelle parole di celebrazione c’è tutta l’approssimazione, la minimizzazione dei segnali e l’impreparazione ad affrontare gli effetti di una vera e propria crisi abitativa.
Nella nota del Sindaco, la misura “anti-Airbnb” è un’apologia degli ultimi quindici anni di amministrazione della città. Accusa il governodi inerzia rispetto a una legge nazionale e i proprietari degli immobili di bieca ricerca del profitto. Due accuse legittime, ma faziose. Altrove, ed è la stessa nota del Consiglio comunale a segnalarlo, sono proprio le amministrazioni cittadine (Parigi, Amsterdam, Barcellona, Lisbona, New York) a intervenire direttamente nella regolamentazione degli affitti brevi. A Firenze ci si muove solo ora, male, e solo su una parte della città: il centro storico, “l’area Unesco”. Tanto per cominciare, il provvedimento in questione è stato preceduto, in quello strategico lasso temporale che intercorre tra l’annuncio, l’approvazione e l’entrata in vigore dei provvedimenti (e che ne determina l’inefficacia), dalla corsa alla registrazione, appunto, degli appartamenti in area Unesco: +4.000 solo da giugno. Per un totale, secondo InsideAirbnb, di 12.308 registrazioni in città, delle quali il 75% solo nell’area Unesco (un dato in crescita esponenziale, nonostante il Covid, dal 2016). Anche ammessa, per puro esercizio intellettuale, l’immediata operatività e l’efficacia della misura appena approvata, comunque non sarebbe stata una risposta a quel “disagio crescente”, per citare il sindaco, della popolazione. Il suo enorme limite sta nel vedere in Airbnb il dispositivo di produzione della crisi abitativa, anziché una sua manifestazione. Ignorando l’impatto più ampio delle politiche di svendita del patrimonio e di turistificazione: l’erosione e la delocalizzazione dei servizi alla residenza (mobilità pubblica, scuole, asili, anagrafe, case del popolo, artigianato di servizio e commercio di prossimità), ma anche la frammentazione delle dimensioni degli alloggi – perché, per un pubblico temporaneo, i mono e microlocali sono più appetibili. Eppure, nel piano operativo in via di approvazione non c’è accenno a misure di tutela del diritto alla casa, ma anzi è confermata la “monetizzazione”, ossia il meccanismo con cui gli investitori immobiliari possono ovviare agli obblighi di destinare una quota della superficie ad abitazioni popolari, o alle aree verdi.
I numeri parlano: nell’ultimo decennio, l’area Unesco di Firenze ha perso 4.549 abitanti (che nel 2022 sono 37.949, secondo i dati del comune di Firenze). Tra il 2016 e il 2022, il costo medio degli affitti è aumentato del 42%, passando dai 13,4 €/mq del 2016 ai 19 €/mq dello scorso agosto. È la bolla immobiliare, baby. In Italia, i canoni aumentano più dei corrispondenti valori immobiliari, soprattutto a Firenze, che detiene un record nazionale e si colloca al sesto posto in Europa: +20,2%, secondo l’Osservatorio mensile di Immobiliare.it Insights, contro una media nazionale del 5%. Secondo l’Osservatorio, con 19,2 euro per metro quadro Firenze è seconda solo a Milano; HousingAnywhere, la più grande piattaforma europea di affitti a medio-lungo termine, colloca Firenze nella top ten delle città europee più care.
I contratti di affitto a lungo termine diminuiscono, quelli per soggiorni brevi aumentano. Per una città ad alta attrattività turistica non è facile resistere alla tentazione della temporaneità. Affittare un appartamento a turisti è notevolmente più redditizio di un affitto di lungo periodo. Come riportato da Gainsforth, in città come Venezia bastano 120 giorni di affitto su Airbnb per coprire le entrate garantite da un canone annuale ordinario. Ma non sono i singoli cittadini a “inseguire il profitto”: l’affitto breve è un business sempre più concentrato nelle mani di pochi. Nel caso di Airbnb, un decimo degli alloggi registrati è in mano a soli 20 proprietari, a riprova dell’allontanamento della piattaforma dall’originaria ispirazione alla sharing economy.
E se l’Istat definisce emergenza abitativa le spese per la casa che superano il 40% del reddito, viene da chiedersi quali maxi-stipendi dovrebbero avere i fiorentini per non essere in emergenza abitativa. Spoiler: l’emergenza abitativa c’è. Il Sindacato unitario nazionale inquilini e assegnatari (SUNIA), che a Firenze ha aperto uno sportello per denunciare i disagi generati dalla trasformazione delle residenze in alloggi turistici temporanei, dichiara che sono 18mila le famiglie dell’area fiorentina che non trovano o non possono permettersi un’abitazione.
Negli ultimi mesi, la stampa ha riportato decine di testimonianze dell’emergenza abitativa. Ci sono state le proteste studentesche, con le tende piantate davanti al Dipartimento di Lettere, al grido di “il diritto all’alloggio è diritto allo studio”. Ci sono stati episodi più drammatici, come quello di Youssef G., il ragazzo accampato alla stazione di Rifredi con il suo curriculum appeso sulla tenda: con il lavoro di rider non poteva permettersi di vivere a Firenze, né di curare la propria salute mentale. Ci sono le storie dei dipendenti pubblici, assegnati a Firenze e costretti a una vita da pendolari o a rinunciare agli incarichi per il costo della vita troppo alto.
La misura che limita la registrazione di Airbnb prende in considerazione solo uno dei processi che hanno portato alla crisi abitativa. Lo scenario è molto più articolato e segue tre traiettorie: privatizzazione, turistificazione, studentizzazione.
Una parola chiave è “privatizzazione”. A Firenze, il patrimonio pubblico è in vendita: palazzi storici, i più pregevoli tra ex ospedali, caserme, centri direzionali pubblici, compaiono, con tanto di prezzo e di possibili destinazioni d’uso, nelle pagine di un vero e proprio catalogo dal titolo accattivante “Invest in Florence. City of the opportunities” (Comune di Firenze, Florence, city of the opportunities, 2014-2017-2021; consultabile su: https://tinyurl.com/4wfhaprz). Era il 2014, all’inizio del primo mandato di Nardella. Sindaco e assessori erano impegnati nelle fiere immobiliari, come riporta il volume curato da Agostini (Ilaria Agostini, «Studentati di lusso nell’età del social washing», in Ilaria Agostini e Francesca Conti (a cura di), Turismo di classe. Studentati di lusso e selezione sociale a Firenze, perUnaltracittà, 2023), per risolvere l’annoso problema dei “buchi neri”. Il bilancio annuale come unico strumento di governo. Per inserirsi nel mercato immobiliare, tuttavia, era necessaria una deregolamentazione: per essere più competitivi, occorre facilitare, venire incontro ai compratori. Sul catalogo sono indicate, per ogni immobile, le “restrictions” (qualche esempio: “maintaining of existing green”, “portion intended to be social housing”) e le “key opportunities”: prima tra queste, la voce “no City council approval is required”. Dunque, edilizia sociale e verde come minus, controllo pubblico come interferenza, buona politica come ricerca del profitto. Si delinea un’idea di città come somma di progetti e interessi privati, non come progetto collettivo nella quale la rigenerazione, come recita il catalogo, è “guidata dagli interventi privati, e sostenuta dall’amministrazione con la semplificazione delle procedure amministrative”. Nessuna visione organica per Firenze, salvo qualche slogan (“Firenze digitale”, “Firenze connessa”, “Firenze città della cultura internazionale”). Al suo posto, la celebrazione del laissez faire neoliberista.
di Bianca Galmarini
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