Il nostro presidente del Consiglio, si sa, pretende che il participio presente che designa la sua carica sia declinato al maschile (colui, non colei, che presiede), ma ha spesso ricordato di chiamarsi "Giorgia", come se già non lo sapessimo, rivendicando al contempo di essere cristiana, donna e madre. Accanto a lei, il suo nemicoamico e nostro ministro dell’interno, che un tempo ci ha abituatə/e/i a performance di baci del rosario, sovente parla “da papà”. Entrambi, come moltə/e/i, hanno avuto una vita sentimentale poco lineare: ma mai mi sognerei di giudicarli per questo. Il punto che voglio sollevare è un altro. Identificandosi con la propria funzione genitoriale anche nell’esercizio delle proprie funzioni governative, Giorgia e Matteo evocano retoricamente la figura fantasmatica del Bambino/della Bambina, un fragile feticcio da proteggere perché da Lui/Lei dipende il futuro della Nazione. Ma proteggere da chi? Con chi ce l’hanno quando parlano così? Ma con il Gender, ça va sans dire!
Sollecitato dalla casa editrice People, che di cuore ringrazio, in questo volume ho raccolto dieci interventi che nel corso degli ultimi dieci anni ho scritto o pronunciato per occasioni accademiche o pubbliche, nel tentativo di smontare la retorica anti-gender che imperversa in Italia e nel mondo dalla metà degli anni Novanta – uno dei più efficaci collanti ideologici del populismo di destra contemporaneo. Lo spettro del gender, rivivificato oggi dal successo editoriale del generale Vannacci, è anche un mito razzista: compatta un popolo di mamme e papà, sposati conviventi divorziati non importa, purché eterocisessuali e bianchi, bianchissimi, chiamandoli a ripopolare il pianeta (come se già non fosse troppo affollato) di una prole altrettanto bianca bianchissima (ma la popolazione italiana è poi davvero così bianca?). Ed esorta queste bianche bianchissime mamme, questi bianchi bianchissimi papà, a educare la loro bianca bianchissima prole a una rigida eterocisessualità patriarcale, a difenderla dalla perversa ipersessualizzazione che sarebbe esito delle conquiste dei movimenti femministi, LGBTQI+ e antirazzisti, dalla minaccia che i movimenti migratori possano produrre un occidente multietnico e multicolore che in realtà da tempo esiste già.
Tutto questo lo sa bene chi, come me, vive e abita a Verona, dove pochi anni fa l’attuale presidente della Camera Fontana volle, fortissimamente volle, quella kermesse dell’omolesbobitransfobia che è il World Congress of Families, a cui rispose grazie al cielo la grande manifestazione convocata da Non Una di Meno sotto lo slogan "Verona Città transfemminsita". Tutto questo lo sa bene anche chi, sempre come me, dei movimenti femministi, transfemministi, queer, LGBTQI+, antirazzisti si sente parte, e da almeno un decennio e in alcuni casi anche da due (la lungimirante rete Facciamo Breccia iniziò nel 2005) si è impegnatə/a/o nel difficile compito di contrastare questa pericolosa retorica. Per poi constatare dolorosamente quanto essa sia diventata egemonica nella società italiana, determinando l’agenda di questi stessi movimenti e provocando spaccature anche al loro interno, quando invece rafforzare le alleanze sarebbe oggi quanto mai necessario.
Il libro è quindi anche un appello all’unità. Ma non nasconde le ragioni dei conflitti, piuttosto cerca di indagarle senza fare sconti, né semplificazioni. Sono pur sempre un docente di Filosofia politica: la complessità devo riconoscerla per mestiere; e anche il dissidio. Se la scelta dei dieci interventi è stata guidata da intenti divulgativi, sullo sfondo di ognuno di essi, anche di quelli che più si concentrano sull’attualità italiana, sta sempre un orizzonte globale di lunga durata in cui le questioni del genere e della sessualità incrociano altri interrogativi: il rapporto tra natura e cultura, la differenza tra approcci teorici critici, realistici e normativi, le possibili interpretazioni delle relazioni che intercorrono tra soggettività e potere, tra il sé e l’altrə/a/o, tra identità e differenza, tra inconscio e politica, le possibili interpretazioni di categorie quali "fascismo", "populismo", "democrazia", il ruolo del sesso (più precisamente del sessuale) nella costruzione del legame sociale (del politico) e nella mostrificazione del nemico.
Infine, uno degli intenti di questo volume è promuovere una riflessione intergenerazionale, aprendo un dialogo ideale tra il cinquantenne gay che sono, ragazzo del secolo scorso diventato sessualmente attivo mentre era in corso la crisi dell’AIDS, e lettorə, lettrici e lettori appartenenti alla generazione Z come chi frequenta i miei corsi in università: giovani che stanno diventando adultə/e/i in un regime farmacopornografico in cui la trasgressione sessuale non è più soltanto repressa, ma anche e sempre di più provocata e messa a profitto. Piace tanto, a noi vecchiettə/e/i, e anche a loro a dire il vero, raccontare questa generazione come sempre più libera, sempre più fluida, sempre più non binaria e “sex-positive”. Eppure, essa continua ad affrontare un pervasivo maschilismo, una pervasiva omolesbobitransfobia, di cui l’interminabile cronaca degli stupri, dei femminicidi, del bullismo, dei suicidi è tragica testimonianza. Eppure, essa continua a subire gli effetti di una campagna anti-gender che l’ha privata del diritto all’educazione antidiscriminatoria e a una corretta informazione sulla sessualità. Di fronte al Bambino e alla Bambina con la B maiuscola evocati dalle destre, chi ha difeso, negli ultimi decenni, le/i bambinə/e/i queer? E chi difenderà quellə/e/i a venire?
C’è tanto, quindi, in questo libro. Perché ci ho messo tanto, tutto quello che mi è parso necessario. People mi aveva chiesto di fare chiarezza. Ci sono riuscito? Non lo so. Spero almeno che chi lo leggerà saprà apprezzare lo sforzo. E la passione.
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