Paolo Cosseddu
I riservisti

Ci sono affinità che risaltano a prescindere dagli sforzi dei distinguo e delle dichiarazioni fatte per rassicurare i partner internazionali, una recente avvicina un comiziaccio urlato di Giorgia Meloni al discorso a reti unificate di Putin. Il dittatore russo ha annunciato la chiamata alle armi dei suoi riservisti, intendendo in realtà tutti i maschi abbastanza grandi da poter essere arruolati, ma anche Giorgia Meloni il giorno prima aveva in qualche modo chiamato alle armi i suoi, di riservisti, quando ha detto che dal 26 settembre, quando governerà lei, tanta gente potrà finalmente “alzare la testa” e mostrarsi per quel che davvero è, non avendo potuto farlo mai. Con la differenza che, mentre i riservisti di Putin a quanto pare non hanno tutta questa voglia di armarsi e partire, ma solo di partire, visto che hanno cercato in tutti modi di lasciare il Paese, quelli di Meloni non vedono proprio l’ora.
Quella che ci attende da lunedì, quindi, potrebbe essere un’Italia in cui fare il saluto romano non è più un tabù, raccontare versioni alternative della storia per dare la colpa agli ebrei è ammesso anche in sede storiografica, insultare gli omosessuali è una forma di umorismo, e si possono picchiare i neri perché è loro la colpa di trovarsi nel posto sbagliato. E basta, con questo politically correct, basta con questa cultura woke, basta con la diversity e gli elfi afrodiscendenti nel Signore degli Anelli, ché non se ne poteva più. C’è tutto un esercito dormiente, pronto a scatenarsi una volta riconquistato il potere a lunghissimo bramato, e certo qualcuno potrebbe obbiettare che tutte quelle cose in realtà già succedono con allarmante frequenza anche da prima, sono sempre successe, succedono ogni giorno, al limite ora accadranno più spesso e ulteriormente protette da un beneplacito generale e calato dall’alto.
E alla fine può darsi che non siano nemmeno così numerosi, questi riservisti italiani in attesa di colpire, però ci sono quegli altri, quelli che lasciano fare. Quelli che voteranno a destra perché si ritengono al sicuro e pensano di non far parte di nessuna minoranza, in fondo per star tranquilli basta non essere gay, non essere neri, non essere. Gli istituti di sondaggi snocciolano i temi caldi di questa campagna elettorale, ma forse più che la preoccupazione per le prossime bollette c’è una questione che sta nelle viscere di molti elettori a cui da sempre si rivolge la destra: l’individualismo, tradotto letteralmente in soldoni con la prospettiva di pagare meno tasse a uno Stato che essenzialmente si disprezza. Rinunciare all’idea di salvarsi tutti insieme, come Paese e come collettività, per abbracciare la filosofia del “si salvi chi può”, e pazienza se per farlo si passa sopra a qualcuno meno attrezzato.
È questo, il vero sentimento comune e trasversale, anche fra classi sociali tra loro lontanissime: se il ricchissimo batte i piedi per non dover pagare anche solo l’un per cento in più di tasse, lui che potrebbe, ed è completamente disinteressato se nel frattempo la società va a rotoli, figurarsi cosa gliene può fregare al cittadino comune. Anche se poi arrivano i riservisti col manganello? Anche.
E non per questo si deve allora concludere che quindi il problema non sono i riservisti liberi di far le loro scorrerie, anzi, semplicemente vuol dire che i problemi sono due, e l’altro è rappresentato proprio da chi tace e acconsente, perché pensa sempre che comunque se anche se le cose si metteranno male, ricadranno su qualcun altro. Anche se la storia ci insegna che non è così.
Buon voto, ci rileggiamo nei prossimi giorni per il commento post-voto.