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Immagine del redattoreGiampaolo Coriani

I tre livelli di incompetenza del governo



Un sereno esame dell’azione di governo dell’esecutivo Meloni, quello dei “Pronti!”, rivela una struttura sorprendentemente complessa di incompetenza.

Il primo livello è una sorta di situazionismo propagandistico.

In campagna elettorale si promettono iniziative e provvedimenti oggettivamente impossibili, palesemente contrari alle norme internazionali o a quelle interne.

Poi semplicemente non si fanno, si svicola, si fa finta di niente.

Caso di scuola, l’abolizione delle accise sui carburanti.

Gira questo video cult di Meloni dal benzinaio, che abbiamo visto tutti, con tanto di figurante vestito da rapinatore con i cartelli che fa le veci dello Stato ladro, e le proverbiali faccine della (futura, ahinoi) premier, ma appena seduta a palazzo Chigi, eh no, e come si fa?, le accise mica le possiamo toccare, siamo seri.

Appunto.


Poi c’è la variante, provvedimenti la cui abnormità è tale da rendere inconcepibile l’approvazione, e però la propaganda continua ugualmente: il blocco navale.

Contrario ai principi basilari del diritto internazionale, richiesto in decine di interventi dai banchi dell’opposizione, insieme all’affondamento delle navi delle ONG (vuote eh, per carità, come vi viene in mente?) non si può fare, non si fa, ma invece di svicolare viene ugualmente invocato.

Addirittura si cercano di far passare altre iniziative come tali, che però non lo sono.

Se non fosse che un pezzo di opposizione, quella attuale, rinfaccia la mancata applicazione come se il blocco navale fosse cosa buona e giusta, sarebbe l’esempio perfetto.

Poi c’è la sottovariante retromarcia, quella in cui è maestro il cognato d’Italia Lollobrigida.

Ve la ricordate la tirata sulle carni “sintetiche”?


Una gran fanfara per dire che avevano depositato un DDL, a tutela dei nostri prodotti, che vietava con limiti stringenti (che cozzavano as usual con la normativa europea, una costante) la produzione e la vendita di carne coltivata (anche da altri, e da qui l’evidente contrasto), che non è affatto sintetica, e, notizia di questi giorni, pare che venga ritirato per evitare la figuraccia della bocciatura da parte della Commissione Europea.

Nello stesso sottogruppo la tassa sui mitologici “extraprofitti” delle banche.

Sbandierata, limata, ripensata, precisata, svuotata, sostanzialmente abbandonata: qualcuno avrà fatto presente che gli extraprofitti, cioè una valutazione discrezionale della quantità di un profitto che ne determini la legittimità, non esistono.

È il capitalismo, baby, mica siamo nel blocco sovietico.

Secondo livello: le oscenità giuridiche senza prova contraria.

Anche qui ampia casistica, ma su questioni sostanzialmente marginali, con difficoltà, se non materiale impossibilità, di applicazione.

Nel calderone l’album di esordio, cioè le norme sui rave, infarcite di contraddizioni e sovrapposizioni, completamente inutili, che servivano solo a mostrare i muscoli.

Solo che i rave erano già eventi rari ed eccezionali prima, quindi non ci sono notizie della loro applicazione.

Ovviamente diranno che è merito loro.


Poi abbiamo la gestazione per altri (loro lo chiamano utero in affitto, va ancora bene che non hanno inserito le disposizioni fra quelle delle locazioni) reato universale, che è perfetto perché è il classico reato impossibile da contestare, per il palese contrasto con le norme dei Paesi dove la gestazione per altri non solo si chiama così ma è anche lecita, tutta propaganda e nessun riscontro.

Sullo stesso piano la caccia agli “scafisti” lungo tutto il globo terracqueo, norma altrettanto inapplicabile, per evidenti motivi di giurisdizione, che ha come unica conseguenza la rinuncia ai voti dei terrapiattisti.

Il terzo livello, invece, non se lo aspettavano neppure loro.

Mai questi solerti legislatori avrebbero pensato di dover rendere conto della loro produzione onirico-giuridica davanti a un magistrato, “e quando ci capita, con i tempi della nostra giustizia?”, li avrà rassicurati Nordio.

E invece, è capitato, con il decreto Cutro e i rimpatri accelerati, con tanto di “cauzione” da 4.938 euro, visto che la procedura prevede una decisione quasi in tempo reale dalle sezioni competenti dei Tribunali a fronte di un ricorso.

E qui c’è poco da scherzare (anche sul resto, in realtà) perché le sentenze di Catania, ma anche di Firenze e Bologna hanno semplicemente disapplicato questa normativa perché contrasta con quella europea.

La reazione è stata piuttosto scomposta.

Quando sembrava che il problema fosse solo una giudice catanese, è stata attaccata, insultata, diffamata, sono stati diffusi video di dubbia provenienza e liceità che la ritraevano in una manifestazione (ed è in corso un’indagine su eventuali reati collegati) addirittura è stato riportato alla luce un episodio in cui il figlio, accusato di reati per altra manifestazione, è stato assolto.


Una macchina del fango istituzionale e mediatica (l’ultimo episodio sulla Stampa, ed è curioso come anche di fronte ad una assoluzione si parli solo del reato accertato come inesistente, a proposito di garantismo, la colpa di questo ragazzo evidentemente, per i loro parametri, è di non aver fatto nulla di illegale) che però si è un pochino inceppata quando sono arrivate le conferme dagli altri tribunali.

Ma non è che gli è venuto in mente che magari le loro norme erano sbagliate, no, ma quando mai, si è addirittura scomodato un sottosegretario, già magistrato di Cassazione, per dire che il giudice ordinario non può disapplicare le norme, che sarebbe prerogativa dela Corte Costituzionale.

Quando pacificamente le direttive europee prevalgono sulle norme ordinarie difformi, con obbligo, e non facoltà, di disapplicazione.

Insomma, dai, non sono capaci.

Solo che a pagare le spese di questa incapacità finora sono i richiedenti asilo o le coppie omogenitoriali, e soprattutto i loro figli, ed è per questo che, davvero, c’è poco da ridere.

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