E così, dopo quasi sette anni di indagini, la procura di Trapani ha deciso di chiedere il non luogo a procedere nei confronti dell’equipaggio della nave Iuventa.
È il 2 agosto 2017 quando i Magistrati ne chiesero e ottennero il sequestro.
“Le indagini avviate nell’ottobre del 2016 e condotte con l’utilizzo di sofisticate tecniche e tecnologie investigative - spiegavano allora - hanno consentito di raccogliere elementi indiziari in ordine all’utilizzo della motonave Iuventa per condotte di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”.
Quali sono le “sofisticate tecniche e tecnologie investigative”? Nelle 30.000 pagine (30.000 pagine, già) dell’inchiesta, viene spiegato: agenti sotto copertura, intercettazioni telefoniche, sorveglianza delle navi, delle abitazioni e addirittura di giornalisti, avvocati e religiosi. Costo totale: 3 milioni di euro, sostenuti dallo Stato per dimostrare l’accusa.
Parte tutto dalle denunce di alcuni agenti privati, imbarcati all’epoca sulla nave di Save The Children come forze di sicurezza: iniziano a dire che Iuventa è in collegamento con i trafficanti, e vengono ascoltati. Dall’AISE, i Servizi di Sicurezza Italiani, e da alcuni referenti politici, con cui si mettono subito in contatto, pensando possano essere interessati al caso.
Chiamano Meloni, chiamano Di Battista, chiamano Salvini. Tutti, all’epoca, erano all’opposizione. Il leader della Lega - dirà in un’intervista al Fatto Quotidiano uno degli agenti, Pietro Gallo - li richiama subito: è molto interessato alle loro informazioni, talmente interessato che vorrebbe raggiungerli mentre gli agenti sono impegnati in una delle operazioni di save and rescue fatte dalla nave.
Non si incontrano, ma un collaboratore di Salvini chiede loro di scattare foto e registrare conversazioni: “sarebbe utile avere la registrazione di qualcuno di Save the children che ammette che fanno tutto per pubblicità”, si scrivono le due “spie”. “Se perderete il lavoro, potete contare su di noi”, gli dicono.
Così, la Lega raccoglie informazione e pubblicamente spara a zero sulle ONG “complici e protagonisti del traffico di esseri umani”. Di Maio, che poi la Lega la accompagnerà al governo, parla di “taxi del mare”. E il governo Gentiloni-Minniti, per non essere da meno, non rimane a guardare: arrivano i memorandum di intesa con la Libia, si finanzia “la guardia costiera libica”, arriva soprattutto il famigerato codice di condotta per le ONG.
L’equipaggio di Iuventa, denunciando il clima intimidatorio e i rischi della criminalizzazione di chi salva vite in mare, decide di non firmarlo. E Minniti, proprio per smentire il clima intimidatorio (già), dichiara: “l’aver rifiutato l’accettazione e la firma pone quelle organizzazioni non governative fuori dal sistema organizzato per il salvataggio in mare, con tutte le conseguenze del caso concreto che potranno determinarsi a partire dalla sicurezza delle imbarcazioni stesse”.
Nel frattempo, tutti i giornali aprono le loro prime pagine dando conto delle indagini della procura di Trapani:
La Stampa: “Migranti, blitz dell’Italia, fermata ONG tedesca: complici dei trafficanti”
La Repubblica: “L’ONG lavorava con gli scafisti”.
Il Corriere: “Patto tra l’ONG e gli scafisti”.
Il Fatto Quotidiano: “Sequestrata l’ONG-taxi tedesca”.
Tutti quotidiani che oggi, come giustamente ha fatto notare Sergio Scandura di Radio Radicale, oggi non solo non aprono sulla notizia del non luogo a procedere, ma non la mettono nemmeno in prima pagina.
Insomma, finalmente il caso Iuventa sembra arrivato a conclusione. E potrà essere usato in futuro come esempio perfetto di tutto quello che non funziona nel dibattito pubblico italiano. Ma avremo imparato qualcosa solo se chiederemo conto a Salvini - che (almeno per un po’) è ancora vicepremier - del rapporto con quegli agenti privati. Se chiederemo conto a chi era nel governo allora in carica e del perché diede forma legislativa a quel clima fatto di razzismo (nemmeno troppo strisciante) e di accuse a chi salva vite. Se chiederemo conto al sistema dell’informazione dei suoi errori, delle sue esagerazioni, delle sue responsabilità.
Certo, manca ancora la conferma del GIP, prima di chiudere questa vicenda assurda. Ma salvare vite non è un reato, e ora finalmente lo ha ammesso anche la procura di Trapani. E non ci sarebbero voluti sette anni per scoprirlo, se vivessimo in un paese sano.
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