Mentre è partita la campagna d’Albania del governo Meloni, con tanto di decreto per mettere a posto le cose (che, come comprenderemo presto, non andranno affatto a posto), in Europa c’è chi pensa di negare tout court il diritto d’asilo. E non è solo l’estrema destra a proporlo ma a stabilirlo è stato recentemente anche uno di quei “moderati” che l’estrema destra dovrebbero arginarla, il premier polacco Donald Tusk. E così l’Unione europea rinuncia alla propria cultura politica e istituzionale e, quindi, a se stessa.
Nel frattempo, la campagna quotidiana per la natalità della maggioranza di governo italiana non dà alcun risultato. Anzi, come era prevedibile, la curva dei nuovi nati continua a scendere e, come scrivevamo in Stranieri per sempre, ciò riguarda non solo le coppie italiane ma anche quelle straniere, che si allineano presto a quelle italiane. I giornali lo scrivono come se si trattasse di una sorpresa ma è un fenomeno già osservato in passato: è un dato che riguarda il “suolo” e non il “sangue”, ancora una volta.
In generale e nonostante tutto ciò che osserviamo sull’immigrazione continuiamo con le stesse parole e con azioni sempre peggiori, incuranti del destino a cui andiamo incontro e della stessa realtà delle cose che vi ruotano intorno. Per saperne di più consiglio il libro di Hein de Haas, Migrazioni. La verità oltre alle ideologie. Dati alla mano, recentemente pubblicato da Einaudi, che offre un quadro molto chiaro della situazione a livello globale anche rispetto al dato economico e alla sua “lettura” politica.
Scrive de Haas (p. 226):
"Le nostre società sono più ricche che mai, eppure le disuguaglianze sono aumentate, i salari si sono fermati o sono calati, e le nuove generazioni crescono nutrendo preoccupazioni maggiori di quelle dei loro genitori su questioni come il debito studentesco, la stabilità lavorativa e l’accessibilità degli alloggi. La precarietà del lavoro è cresciuta, e sempre più giovani sono relegati a lavori temporanei nella gig economy. La vera causa di questi problemi, però, non è l’immigrazione, bensì le scelte politiche che hanno intenzionalmente deregolamentato i mercati, tagliato le garanzie sul lavoro, indebolito i sindacati, eroso i diritti dei lavoratori, abbassato i salari e gonfiato le disuguaglianze di reddito. Questo ha svantaggiato economicamente i lavoratori che guadagnano poco e tutte le nuove generazioni, mentre i ceti medi si sentono sempre più insicuri e hanno iniziato a dubitare di poter mantenere il loro standard di vita anche in futuro.
Non stupisce che per i politici sia comodo incolpare l’immigrazione di questi problemi, per distogliere l’attenzione dal fatto che è proprio su di loro, sui politici, e non sugli immigrati, che ricade la responsabilità di un’economia fondata su salari bassi."
Come ripetiamo da tempo, l’immigrazione non è una questione che si possa isolare dalle altre, fa parte integrante del “sistema” di cose nel quale viviamo e lavoriamo, e pensare di poterla considerare una disciplina a sé stante e da tenere separata – quasi fosse una forma di “segregazione” concettuale e politica – è una vera follia. Anche perché dai primi sbarchi sono passati trentacinque anni, i migranti di seconda generazione sono diventati più che maggiorenni e la società si è già profondamente trasformata.
Anche gli episodi più drammatici non possono essere accompagnati soltanto da un’indignazione (peraltro molto temporanea) ma devono essere inseriti in un quadro più ampio.
Pensiamo alla morte di Satnam Singh, il bracciante che aveva perso un braccio e, abbandonato, è morto poco tempo dopo, nel giugno del 2024, in provincia di Latina. Non è un caso isolato, tutt’altro: secondo il VI Rapporto Agromafie e Caporalato sarebbero 230mila i lavoratori irregolari nel comparto agricolo, un quarto del totale. E il fenomeno è diffuso in tutto il Paese, dalle province del Nord-Ovest, lungo la pianura padana, fino alle campagne pugliesi e siciliane.
Sostiene giustamente Marco Omizzolo (in una nota diffusa da Eurispes, 18 luglio 2024 – per una lettura complessiva del fenomeno si veda Marco Omizzolo, Per motivi di giustizia, People 2022) che tutto ciò va inserito nel complesso della nostra organizzazione produttiva e in una idea ben precisa di società, proprio quella che non nominiamo e che ci fa apparire tutto quanto come se fosse naturale:
"La circostanza è indicativa della scomparsa, dal dibattito, del tema di una più equa distribuzione della ricchezza nella catena del valore delle filiere produttive. Abbiamo lasciato che la società si dividesse in due a causa del divario tra lavoro tutelato e lavoro povero – non solo in agricoltura ma in tutti i lavori, compresi quelli intellettuali – caratterizzato da bassi salari, insufficienti al mantenimento del lavoratore e in contrasto con quanto sancisce l’art. 36 della nostra Costituzione."
Lo abbiamo visto nei giorni molto piovosi di questo inizio d’autunno, quando molti lavoratori stranieri sono stati costretti a lavorare comunque, attraversando le città inondate per consegnare panini e pizze, come se niente fosse. E lo registriamo quotidianamente, sui cantieri e nelle cucine, nei subappalti, nei contratti “differenziati” e nel nero che incombe su tutto un mondo che nessuno si preoccupa di far emergere.
La verità è che con l’immigrazione abbiamo (ri)portato a casa anche il colonialismo. In effetti è successo proprio così: abbiamo mantenuto la disumanizzazione delle persone da cui un tempo andavamo per sottometterle e l’abbiamo ribadita nei confronti delle persone che sono venute qui, per sottometterle ancora una volta.
Ciò ha consentito di perpetuare, con forme fin troppo somiglianti, uno sfruttamento – di più, un dominio – sulle non-persone che abbiamo “accolto”. Uso volutamente questo verbo perché lo scambio immorale prevede che siccome li “accettiamo” sul “nostro” territorio, allora loro devono “accettare” condizioni inumane. Succede dappertutto, succede in modo sistematico: è un sistema, appunto, che è costruito attraverso leggi che non cambiano mai – come la Bossi-Fini – e sostenuto da un apparato di contrasto all’immigrazione costoso, cattivo e tutto sommato inefficiente.
Attenzione a considerarlo un fatto eccezionale: si tratta di un elemento politico tutt’altro che esotico o confinato a particolari e speciali zone del paese e al solo fenomeno del bracciantato. E non solo perché per schiavizzare una persona ci vuole un meccanismo amministrativo e burocratico e una cornice di opportunismo o di omertà, ma perché la tipologia è tipica dello sfruttamento sistematico che ci riguarda. E di qualcosa che va nascosto. Sommerso.
Come scrive Douglas Rushkoff (Solo i più ricchi. Come i tecnomiliardari scamperanno alla catastrofe lasciandoci qui, Luiss, pp. 47-48).
"Chiamiamo questo tipo di rapporto con la tecnologia 'effetto montavivande', dall’ingegnoso sistema per trasportare il cibo ideato da Thomas Jefferson. A scuola ci insegnano che Jefferson inventò questo piccolo ascensore manuale in modo che gli schiavi in servizio a Monticello non dovessero arrancare sulle scale per portare i piatti. Bastava che mettessero un vassoio nel vano e lo facessero salire con una carrucola.
Chi era al piano di sopra apriva una porticina e voilà, la cena era servita. Ma il montavivande non serviva a far fare meno fatica alla servitù, che trasportava comunque i piatti lungo passaggi sotterranei e varie scale. Il vero scopo era evitare che gli ospiti di Jefferson dovessero vedere gli schiavi sfiniti dalla fatica. Il cibo compariva come per magia, senza alcuna evidenza di sofferenza umana."
La sinistra ha scelto la strada, vagamente moralistica, della pietas e invece avrebbe dovuto rilanciare sulle strutture fondamentali della politica e della cittadinanza (parola chiave, al centro di una campagna referendaria che segna il primo momento di discontinuità da quando tutta questa storia è iniziata). Anche perché, oltre alle ragioni che già conosciamo, come dice Romano Prodi («Migranti: se la storia cambia il vento», il Messaggero, 18 maggio 2024), l’Europa si contenderà i migranti, nel prossimo futuro, proprio in ragione di un calo demografico che la vana retorica dell’attuale governo non riuscirà certo a fermare.
"Il calo demografico dura infatti da diverso tempo e l’offerta di lavoro continuerà a calare molto a lungo. Un crollo già garantito almeno per vent’anni, dato che i non nati non possono certo presentarsi al mondo produttivo.
Già è cominciato l’allarme da parte di molte imprese paralizzate dalla mancanza di mano d’opera, così come sta diventando drammatica la situazione delle strutture di cura alla persona, dai professionisti della salute agli addetti ai servizi."
In un periodo molto breve, insomma, si aprirà una vera e propria gara per attrarre gli immigrati e non più per respingerli:
"Per essere ancora più chiari: entro pochissimi anni comincerà la concorrenza non solo fra imprese, ma anche fra gli stessi paesi. Una gara che non sarà decisa solo dal livello salariale, ma anche dalle strutture abitative, dalle occasioni di crescita professionale, dall’apprendimento della lingua e dalla possibilità di miglioramento delle condizioni di vita dei nuclei familiari."
Noi però non ce ne rendiamo conto, anzi. Continuiamo così, facciamogli del male. Facendolo, inconsapevolmente, anche a noi stessi.
Socialismo tascabile è un reading e un libro di Giuseppe Civati, e anche una newsletter settimanale per i lettori di Ossigeno. Puoi acquistare il libro a questo link: https://www.peoplepub.it/pagina-prodotto/socialismo-tascabile
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