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Immagine del redattoreMarco Vassalotti

Il referendum sulla cittadinanza spiegato a Carlo Calenda

Aggiornamento: 30 set



«Non ho firmato il Referendum Cittadinanza perché credo che si debba sfruttare in parlamento l’occasione data dalla rottura della maggioranza sullo ius scholae. Con tutto il rispetto per i referendum, rimango scettico. Con la firma elettronica potremmo avere una raccolta di firme al mese, per referendum che non raggiungeranno il quorum, creando fuori dalle istituzioni un affollamento di battaglie che invece vanno fatte dentro le istituzioni».


Così Carlo Calenda, un paio di giorni fa, rispondendo a una domanda di Adnkronos. E forse sono parole che meritano una controrisposta.


Punto primo: il dibattito parlamentare su ius soli e ius scholae è proprio uno dei motivi per cui c'è bisogno di un referendum. Perché è un dibattito che avanti da dieci anni avvitandosi su se stesso, senza che si arrivi mai a niente. Perché un'eventuale riforma come la intende Tajani potrebbe essere addirittura peggiorativa rispetto alla situazione attuale. E perché in ogni caso Forza Italia nelle commissioni e in aula sta continuando a votare contro, anche alla proposta che va sbandierando pubblicamente di sostenere.


Punto secondo: Calenda è dentro le istituzioni da anni. È stato ministro di due governi durante i quali il dibattito sullo ius soli è stato rimandato per anni, con il risultato di ottenere una delle più grandi sconfitte di sempre. Quali rassicurazioni reali può dare sul fatto che il suo impegno porterà a dei risultati, in questa legislatura, con questa maggioranza? Con quale credibilità?


Il referendum, al contrario, è un'opportunità di sbloccarlo, il dibattito nelle istituzioni, anche per arrivare a una riforma ulteriormente migliorativa. E in ogni caso di poter riconoscere diritti a 2,5 milioni di persone che finora li hanno visti negati.


Punto terzo: se è così facile raccogliere le firme, lo invitiamo a provarci. Scoprirà che facile non è. Tant'è che moltissimi non hanno sostenuto la proposta di referendum all'inizio proprio perché erano convinti che non ci saremmo mai arrivati. Ci sono volute settimane di lavoro (di elaborazione, politico in senso stretto e di comunicazione) per generare il traffico che ha consentito di raggiungere il risultato delle 500.000 firme. Nonostante ci siano decine di proposte in piattaforma, solo due hanno superato la soglia minima. Il referendum online dà la possibilità a chi non ha centinaia di migliaia di militanti, banchetti e banchini di proporre un cambiamento reale e immediato, ed è un vantaggio in un periodo in cui le grandi comunità politiche e i grandi partiti (purtroppo) non esistono più. Ma se i temi non sono percepiti come importanti e non c'è la capacità di mobilitare le persone, non si smuove niente.


Punto quarto: se il referendum raggiungerà il quorum, dipenderà dalla cittadinanza. E quella di primavera, se i quesiti passeranno il giudizio della Consulta, sarà la più grande tornata referendaria da almeno da 15 anni a questa parte. Un'occasione enorme per fare politica, che terrà insieme i diritti civili, i diritti sociali e l'unità della nostra Repubblica. Calenda è un personaggio politico, un leader di un (pur non grandisismo) partito. Non vorrà andare a votare? Lo dichiari senza mezze parole. Magari scoprirà che anche tra il suo elettorato in tanti hanno firmato e vogliono votare. Oppure scopriremo che non è così. In ogni caso, sarebbe tutto molto più chiaro.

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