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  • Immagine del redattoreGiampaolo Coriani

Il salario minimo deve essere salario minimo



Pare proprio che il salario minimo sia finalmente diventato una priorità di tutta l’attuale opposizione, e questo non può che renderci felici, pur nella consapevolezza che anche fra le varie forze di opposizione, così come in seno alle sigle sindacali più rappresentative, convivano visioni e proposte diverse.

Siamo anche consapevoli, vista la contrarietà espressa dal governo, e i suoi numeri in Parlamento, che se ne parlerà non prima della prossima legislatura, come confermato da Meloni sul palco della CGIL.

Per amore di verità, proprio perché il salario minimo è una delle nostre priorità da prima che Giuseppe Conte diventasse di sinistra, bisogna prendere atto del fatto che la posizione espressa dal Presidente del Consiglio su quel palco è esattamente la stessa che la CGIL aveva, insieme alla CISL, fino a qualche mese fa.

“Vogliamo retribuzioni adeguate ma voglio ribadire che per raggiungere questo obiettivo il salario minimo legale non è la strada più efficace. Io temo il rischio che la fissazione per legge di questo non diventi una tutela aggiuntiva ma una tutela sostitutiva, facendo un favore alle grandi concentrazioni economiche. La strada più efficace, a mio avviso, invece è estendere i contratti collettivi ai settori non coperti, allargando così la platea dei tutelati, combatterei contratti pirata e intervenire per ridurre il carico fiscale sul lavoro”.


In sostanza, l’argomento, ugualmente cavalcato in questi mesi dalla stampa “moderata” datoriale, è che se viene approvato un salario minimo, le retribuzioni che oggi sono più elevate scenderanno, perché sarà sostitutivo dei CCNL (non è vero, lo dimostrano le esperienze europee).

Peraltro, le due proposte di legge del PD a prima firma Serracchiani (C.210) e Laus (C.216), calendarizzate per un primo esame in Commissione Lavoro, hanno un dato comune in piena continuità con la visione della CGIL (che auspichiamo sia mutata) e di Meloni.

Entrambe, infatti, prevedono che il salario minimo debba applicarsi solo ed esclusivamente in assenza di CCNL, e che l’importo minimo non sia fissato per legge ma debba essere individuato dal ministro del lavoro, nella prima, o da una commissione paritetica, nella seconda.

Anche in questo caso è una visione distorsiva, che viene ugualmente cavalcata dalla stessa stampa (Repubblica 3 marzo 2023) per dire (contraddittoriamente) che comunque riguarderebbe una porzione minima di lavoratori e lavoratrici perché il 92% di loro è coperto da CCNL.

Allora se è così marginale perché opporsi?


Cosa poi prevedano certi CCNL, spesso al di sotto della decenza, non lo dicono.

In questo contesto arriva l’ulteriore proposta del Terzo Polo, diffusa da Carlo Calenda (che al proposito sta già polemizzando sui social con il neo capogruppo del PD al Senato Francesco Boccia), che consiste in un salario minimo orario di 9 euro, però comprensivo anche della retribuzione indiretta (ferie, festività, malattia, infortunio) e differita (tredicesima, quattordicesima e TFR).

Un forfait, insomma, che di fatto nella sua composizione vedrebbe di molto ridotta la paga oraria e che appare con tutta la buona volontà molto difficile da applicare, posto che nella realtà la busta paga parte dalla prima riga, il costo orario del lavoro, e da quella prima riga si calcola sulla base dei contratti e delle disposizioni di legge tutto il resto.

Il TFR ammonta al 7% circa della retribuzione annua da accantonare, mentre le mensilità rappresentano un ulteriore 15% in meno circa, quindi, solo al netto di queste voci, i 9 euro orari diventerebbero circa 7, per diminuire ulteriormente se comprensivi di ferie, permessi, festività, probabilmente scendendo ad una cifra compresa fra i 5 e i 6 euro all’ora.

E questo al netto della impossibilità di fare a ritroso e a rovescio un calcolo che invece si fa, come detto, partendo da una paga base oraria.


Ora, l’esperienza tedesca, quella francese e quella spagnola (non stiamo parlando di Cuba o della Repubblica Popolare Cinese) vanno in un senso completamente opposto, e funzionano.

Ripetiamo a costo di essere noiosi.

Il salario minimo deve essere fissato in un importo determinato per legge, per andare automaticamente a sostituire, sempre ex lege, solo ed unicamente i contratti che prevedono una paga oraria inferiore.

In questo modo nessuno potrà essere pagato al di sotto della soglia fissata, anche in considerazione dell’art. 36 della Costituzione, mentre i contratti che prevedono importi più elevati non vengono toccati, così come è fatta salva la contrattazione collettiva.

Sia in Germania che in Spagna, visti i risultati positivi su economia e occupazione l’importo di base è stato aumentato, e le diffidenze delle organizzazioni sindacali sono svanite di fronte alla realtà.

Va quindi detto che l’iniziativa a prima firma Conte (C.306), sostitutiva di quella a prima firma Catalfo della scorsa legislatura, è quella che più si avvicina a quelle esperienze, per quanto pensiamo che la proposta di legge di iniziativa popolare per la quale abbiamo raccolto, come Possibile, migliaia di firme, sia più precisa, anche nei rapporti con i CCNL, e che nello stesso senso stiano ragionando Europa Verde, Sinistra Italiana e Unione Popolare.


Ma non è una questione di bandierine, non ci sono mai interessate.

La questione è portare avanti nel modo più unitario possibile una proposta di salario minimo che tuteli lavoratrici e lavoratori di ogni settore, e che però sia salario minimo, e non altro.

Quelle del PD, al momento, e quella del Terzo Polo sono altro.

Per questo siamo fiduciosi che le dichiarazioni della neo segretaria del PD rese proprio al congresso della CGIL ("Io sono disposta da subito a ragionare di come cambiare la nostra proposta sul salario minimo e di come trovare una proposta unitaria") vadano nella direzione giusta, seguendo le esperienze che funzionano e senza snaturarne l’essenza, come purtroppo è già successo con le unioni civili, presentate come equivalenti al matrimonio, ma che matrimonio non sono.

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