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Immagine del redattoreRedazione People

In morte di Alexey Navalny



Alexey Navalny è un uomo dall’indiscutibile carisma. Il quartier generale moscovita del suo Fondo Anti-Corruzione (fbk) ha l’aria di una start-up della Silicon Valley, luminoso, con grandi tavoli costellati da laptop – davanti ai quali siedono perlopiù ragazzi giovani. Ed è senz’altro uno degli uffici più perquisiti del pianeta.

È in questo open space situato in un quartiere semi-periferico della capitale russa che Navalny registra i video per il suo canale YouTube, NavalnyLive, ed è sempre da qui che partono le ricerche per le sue inchieste incendiarie contro l’élite del Paese.

Non credo sia incorretto dire che è suo il volto più conosciuto all’estero dopo quello di Vladimir Putin.

«Il Cremlino di fatto ha detto che Navalny, e tutti quelli come lui, vanno esclusi dal processo politico», mi dice il principe degli oppositori russi lasciando fiammeggiare i pallidi occhi azzurri da cosacco della steppa. «E noi possiamo accettarlo? Ovviamente no. Io ho il sostegno di decine di milioni di persone, nelle grandi città, è vero, ma anche nelle province e la mia campagna è stata sostenuta da migliaia di volontari, che si sentono esclusi da qualunque dinamica politica. Noi lottiamo per i nostri diritti.

Una spiegazione persino banale, alle orecchie di uomini e donne cresciuti nel lusso della democrazia. Ma non in Russia. Navalny, dopo le grandi manifestazioni di piazza del 2011-12 e le prime sentenze nei processi farsa, dove è stato condannato anche suo fratello Oleg (per lui niente pena sospesa, gli anni di galera li ha scontati tutti), è andato avanti, inchiesta dopo inchiesta, battaglia dopo battaglia.

Ma chi te lo fa fare, vien da dire. La battaglia è impari, Davide contro Golia. Navalny, però, nell’intervista è categorico: «Non c’è nessuna alternativa. Se vivo qui in Russia, allora come cittadino, marito e padre, mettila come vuoi, io devo lottare per i diritti dei russi, non c’è altra soluzione. Anche nell’Unione Sovietica ci sono stati dissidenti, pochi, ma ci sono stati: io ho centinaia di migliaia di sostenitori e questo mi rende molto felice, mi dà serenità».

Poi un passaggio obbligato: «Qualunque attività politica indipendente in Russia comporta certi rischi, me ne rendo conto… ma non ci penso». Male. Navalny è stato attaccato più volte da contestatori mai rintracciati dalle forze dell’ordine – anzi, secondo alcune ricostruzioni si trattava di “avvertimenti” ben architettati – e in uno di questi ha subito un danno a un occhio, abbastanza grave da richie-

dere un’operazione in un centro specializzato a Barcellona (gli è stato concesso il permesso di espatrio in via del tutto eccezionale). Infine il Big One. Ovvero il tentato avvelenamento nell’estate del 2020, mentre si trovava in Siberia per una serie d’incontri, che gli è quasi costato la vita. Un passo da Modello Putin, un libro di Mattia B Bagnoli. Per approfondire, puoi acquistarlo su www.peoplepub.it/pagina-prodotto/modello-putin.

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