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Immagine del redattoreAndrea Ciresola

Innumerevoli tentativi di imitazione: narrare è resistere



Vero – simile

Narrare è resistere, scrive un poeta sudamericano e la locuzione sembra racchiudere in un amen tutta la verità sulla scrittura, oltre che dell’oralità. Ma le cose sono più complesse: narrare cosa? Narrare come? Resistere a cosa?

La mia serie di gialli che trova in Innumerevoli tentativi di imitazione il secondo caso per la strana coppia formata dal Commissario Zileri e il disegnatore Dario Mellone, è un continuo cammino che il lettore percorre sul crinale fra finzione e realtà.

Per rispondere al narrare cosa, Dario Mellone, uomo del giornale (ha effettivamente lavorato per il Corriere della Sera dal 1967 al 1992 disegnando centinaia di tavole che raccontano la storia di quell’Italia) calca la scena di questa finzione narrativa come braccio destro del commissario Zileri della Omicidi di Milano. Insieme, affrontano gli anni di piombo e una città, Milano, spesso assediata dalla nebbia, oltre che dalla malavita.

Sul narrare come, mi vien da dire che per descrivere un affresco situato ormai nell’Italia di oltre 50 anni fa, si impone l’esercizio della verosimiglianza. Se prendessimo pari pari dialoghi, vicende, fatti come descritti allora sulla stampa o in radio o in televisione, ne uscirebbe un testo illeggibile proprio come accadrebbe se dovessimo mettere nero su bianco una conversazione al bar con un amico. Potremmo registrarla e riversarla su carta, ma il risultato del dialogo risulterebbe lontano dalla realtà. E allora? Ci soccorre la verosimiglianza, una narrativa costruita per sembrare vera, senza esserlo.

Adesso ho l’assist per parlare dell’indagine in biancoenero condotta attraverso i disegni a china su carta di Dario Mellone, un’altra forma di verosimiglianza. Il disegnatore è invitato dal commissario a ispezionare le scene dei crimini che sembrano complicati, inesplicabili, dei veri rompicapi. Il disegno è verosimile per antonomasia, non è la realtà, è un’immagine di essa mediata dalla sensibilità dell’artista che vede oltre riuscendo a cogliere segni nascosti e tracce apparentemente invisibili.

Resistere a cosa? Beh, oggi come allora, resistere a raccontare una parte di verità senza cadere nella trappola di mezzi che sembrano immediati, algidi, freddi e quindi imparziali come le immagini ad alta definizione degli smartphone o quelle generate dall’AI, e quelli “futuristici” della Rossi, fotografa della Scientifica che non capisce cosa ci faccia un disegnatore sulla scena del crimine.

Mellone, nel romanzo risponde così:


«E in cosa sarebbero più precisi i suoi disegni?» chiede la Rossi.

Mai sfidare Mellone sul suo terreno. Da silenzioso diventa loquace e chiede alla Rossi se anche per lei, mentre lo vede di­segnare, lui sembra un sismografo.

«Forse sì… Né più né meno di una macchina fotografica!»

«Dottoressa» replica Mellone «la sua Canon è come i mo­derni sismografi, pennini che si muovono attraverso elementi meccanici su un rullo di carta in movimento…».

«E la sua penna, invece, cos’è se non un pennino di quel tipo?»

«Vede, l’invenzione del sismografo ha duemila anni e viene attribuita a un cinese. Il suo apparecchio aveva una struttura elegante: all’interno di un’anfora era posizionato un pendolo che, se mosso da una scossa sismica, urtava alcune levette. Otto, per la precisione, e tutte disposte intorno all’an­fora. Ognuna di esse era collegata alla statuetta di un piccolo drago; quando veniva urtato, il drago apriva la bocca, facendo cadere la pallina contenuta in un recipiente sottostante. La pal­lina, cadendo, produceva un rumore metallico che fungeva da allarme».

Siamo tutti in apnea. Adesso l’aria la puoi toccare, tagliare, spostare: è solida.

«Ecco, dottoressa, io quando disegno non muovo un penni­no. Quando disegno sono come quel drago e… attivo allarmi!»


È proprio questa idea di riproduzione perfetta l’imperfezione più grande. Mellone coglie l’opportunità di attivare allarmi, ovvero di porsi domande che ritiene molto più utili, ai fini dell’indagine, del trovare facili risposte…la perfezione è il limite che ci offusca la vista e non riesce a farci vedere la verità.

Saranno proprio innumerevoli tentativi di imitazione lo scoglio più grande per risolvere il caso dei quattro femminicidi che non sono frutto di un serial killer. Siamo negli anni 70 del Novecento, a Milano e in un’Italia sotto assedio: solo lo spirito di abnegazione del commissario Zileri e del suo collaboratore Mellone riuscirà a far emergere una realtà drammatica dalla quale nessuno, nemmeno i corpi di sicurezza dello Stato, esce immacolato.


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