Nato durante la pandemia, il festival cinematografico Job Film Days chiusosi a Torino lo scorso weekend è diventato in pochi anni un’interessante piattaforma per ragionare sulle criticità del mondo del lavoro. La rassegna ha aperto con L’histoire de Souleymane di Boris Lojkine, opera terza che ha ottenuto il premio della giuria e quello per il miglior attore nella sezione Un certain regard dell’ultimo Festival di Cannes. Il film racconta l’odissea urbana di un giovane guineano, nei giorni precedenti il colloquio per la richiesta d’asilo. Alla prima prova sul grande schermo, Abou Sangare porta sulle spalle il peso dell’intero film, immerso in una Parigi invernale e notturna, dove vige la regola dell’homo homini lupus. Come Anywhere Anytime dell’iraniano Milad Tangshir uscito nei cinema italiani alcune settimane fa, anche il film di Lojkine rivela i meccanismi di sfruttamento ai quali devono sottostare i rider che popolano, come presenze invisibili alla maggior parte della persone, le nostre città. Diviso fra il mondo che si è lasciato alle spalle e quello al quale cerca di accedere, Souleymane non viene sfruttato solamente dal potere invisibile delle piattaforme ma deve fare i conti con le richieste economiche di chi gli affitta l’account e di chi lo prepara per la recita a soggetto davanti agli esaminatori dell’Office Français de Protection des Réfugiés et Apatrides. Thriller sociale magnificamente interpretato e fotografato, L’histoire de Souleymane non mette in discussione solamente le distorsioni del food delivery, ma evidenzia le contraddizioni delle gerarchie di dolore create dagli organismi che devono accettare o respingere le richieste d’asilo.
La crescente sensibilità nei confronti dei rider è stata confermata dalla partecipazione al concorso lungometraggi di El repartidor está en camino di Martin Rejtman, documentario girato durante la pandemia in tre città sudamericane: Buenos Aires, Caracas e Colonia Tovar. L’asciutta narrazione di Rejtman osserva la quotidianità dei repartidores non limitandosi all’orario di lavoro, ma mostrando anche le loro passioni e alcuni momenti di rivendicazione sindacale.
The Day Iceland Stood Still di Pamela Hogan è il documentario che racconta il percorso di emancipazione femminile che portò al Kvennafrídagurinn, lo sciopero del 24 ottobre 1975. Quel giorno, il 90% delle donne islandesi lasciò il posto di lavoro e si rifiutò di svolgere le attività domestiche, dalla cucina alla cura dei figli. Un fiume di donne si riversò nelle strade di Rejkyavík occupando pacificamente la piazza centrale della capitale. Frutto di un lavoro iniziato alcuni anni prima grazie al movimento delle Calze rosse, questa giornata di riposo fu un evento epocale nella lotta per la parità di genere. A quasi mezzo secolo di distanza, alcune delle protagoniste di quella giornata epocale raccontano come lo sciopero del 24 ottobre 1975 abbia avviato un processo che ha fatto dell’Islanda il Paese con il minore gap di genere su scala globale.
E di lavoro femminile parla anche Aamelat. Jornaleras de la guerra, il film che si è aggiudicato il Premio Cinematografico Internazionale “Lavoro 2024” JFD – INAIL. Protagoniste del film di Eva Parey sono le donne siriane che lavorano nei campi libanesi sfruttate dal caporalato dei connazionali giunti sul posto prima del conflitto. In fuga dalla guerra civile, le protagoniste di Aamelat abitano in campi profughi dove vige il divieto di edificazione in muratura, lavorano dal mattino alla sera subendo le vessazioni dei loro connazionali per guadagnare l’equivalente di un euro. Eppure anche in questo inferno che ad alcune di loro fa rimpiangere la Siria di Bashar al-Assad, si aprono spiragli di insperata felicità.
Fra i tanti film proiettati c’è stato spazio anche per due intramontabili commedie all’italiana accomunate dalla location milanese e dal protagonista Ugo Tognazzi: La vita agra di Carlo Lizzani e Romanzo popolare di Mario Monicelli. Dall’Italia del boom economico a quella dei turbolenti anni Settanta, queste due opere dialogano fra di loro regalando allo spettatore di oggi l’immagine vivida di un paese giovane, dinamico, aperto al cambiamento. E, come capita solamente al miglior cinema, migliorano col passare del tempo.
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