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  • Immagine del redattore Paolo Cosseddu

L’amico immaginario



I giornali di questi giorni scrivono che Giuseppe Conte è abbacchiato. Per la precisione, da quando Elly Schlein ha vinto il congresso del Pd, perché l’avvocato del popolo teme di vedersi soffiare il ruolo di leader dei progressisti che con qualche successo si è costruito, convincendo abbastanza persone da portare il M5S a un risultato meno disastroso di quanto tutti prevedessero nelle politiche dello scorso settembre. Che poi, a esser pignoli, “meno disastroso” non equivale a brillante, visto che in una legislatura i grillini sono passati dal 32 al 15 per cento, meno della metà: ma si prevedeva di peggio, e quindi la percezione è che Conte abbia fatto un miracolo, e la percezione è tutto.


A volte, infatti, diventa allucinazione, come quella di trasformarlo in un leader della sinistra. Il meccanismo è interessante, perché oggi si racconta che Conte rischia di non essere più una cosa che non è mai stato: di sinistra, appunto. E, sublime ironia, chi glielo aveva dato questo ruolo, più o meno intenzionalmente? Proprio il Pd, da sempre sub-appaltatore di se stesso, insieme ad Articolo 1 che oggi nel Pd rientra con un certo peso, avendo sostenuto la candidatura vincente. Dalle carte dell’inchiesta sulla gestione del Covid emergono, tra le altre cose, supposte chat in cui Roberto Speranza, che è stato ministro della Sanità per Articolo 1 sia nel Conte II che con Draghi, si lamentava del fatto che nella prima fase della pandemia Conte sembrava più interessato a sfruttare la situazione politicamente, per allungare la vita al suo Governo, di quanto fosse preoccupato dai contagi. La rilevanza di queste comunicazioni sarà stabilità dalla giustizia e non è interessante qui, ed è vero che nelle chat ognuno di noi si esprime senza filtri e quindi bisognerebbe andarci piano con i giudizi, ma è curioso notare che, mentre Speranza in privato si lamentava di Conte, il principale esponente del suo partito ovvero Pier Luigi Bersani era tutte le sere ospite di qualche talk televisivo a decantarne le lodi dipingendolo come un faro del progressismo. Finché, dai e dai, non hanno cominciato a crederci tutti, compreso l’interessato: anche se era falso, e a quanto pare lo sapevano anche i principali sostenitori di questa tesi, ed è quindi paradossale scrivere oggi che non lo è più visto e considerato che in primo luogo il problema è quello di aver creduto che fosse vero. Il che non vuol dire che non possa essere un interlocutore, per carità, ma da qui a farne Gramsci redivivo dovrebbe passarci un pizzico di senso delle proporzioni. E invece.


“Non fare di me un idolo, mi brucerò”, cantavano i Csi, e francamente da Renzi fino a Soumahoro passando appunto per Conte - di nuovo, parliamo solo di questioni di senso politico e di null’altro - sarebbe forse l’ora di darci un taglio, con questa idolatria dannosa, miope e mal riposta. Ma a quanto pare questa è una lezione ancora lungi dall’essere appresa.

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