Mi è sempre stato insegnato che il diritto ad una vita che sia più che solamente decente è la prima cosa per cui si dovrebbe lottare.
Di tutta questa faccenda dell’ascensore la cosa che più mi ha fatto male è la rassegnazione della nonna di Samuel che nonostante abbia portato suo nipote dall’Eritrea all’Italia per permettergli di avere quella vita che fosse un po’ più che decente non ha pensato neanche per un secondo che poter usare un ascensore fosse suo sacrosanto diritto.
La prima volta, perché fosse sostituito ho dovuto letteralmente metterci la faccia: volando fuori dalla cabina che non si fermava al livello del piano, sbattendo il muso, denunciando ALER e la ditta che si occupava della manutenzione degli impianti, che non la prese benissimo e cedette l’appalto a quella attuale (si, lo so, la cosa sta già diventando noiosa da morire ma c’è il lieto fine quindi tenete duro).
All’epoca ottenni il rimborso per i 10 giorni passati in un residence mentre venivano eseguiti i lavori, ma quando provai a parlare di danni esistenziali l’avvocato mi disse di lasciar perdere; non un avvocato qualunque ma uno di quelli con strati e strati di pelo sullo stomaco che si occupava di processi da primissima pagina. Già allora mi chiesi quanto marcio possa essere un sistema che riesce a scoraggiare uno così, e che speranze hanno le persone come me di riuscire a far sentire la propria voce.
Per “persone come me” intendo quelle senza grandi mezzi economici, che abitano le case popolari, le cui vicende non sono amplificate da nessuno.
E arriviamo a novembre 2022, quando un martedì mattina faccio per uscire e scopro che l’ascensore è guasto. Normale amministrazione per qualunque persona con disabilità convivere con piccole e grandi delusioni quotidiane di questo tipo, con il tempo o diventi del genere “incazzatura cronica” o fai del fatalismo la tua bandiera.
Dopo 24 ore dei tecnici neanche l’ombra, cosa molto strana perché da quella volta della faccia sono sempre molto solerti.
Parte una ridda di telefonate e solo alla millesima si riesce a scoprire che non passerà proprio nessuno perché i motori si trovano in cantina, nelle cantine stanno eseguendo la bonifica dei tubi rivestiti di amianto e visto che anche ai tecnici ascensoristi piace vivere fino a che i lavori non saranno ultimati e ATS avrà rilasciato la certificazione di idoneità non interverranno.
Mi si proietta in testa la scena de “L’aereo più pazzo del mondo”, quella in cui si illumina l’insegna OKAY PANIC e allo stesso tempo penso: se non avessi perso ore di vita sarei rimasta all’oscuro di tutto?
Solamente dopo ulteriori ore buttate scopro che ALER in collaborazione con Croce Rossa fornisce un servizio di discesa e risalita, tiro un sospiro di sollievo, il giorno dopo devo necessariamente partire per Roma da cui dovrei tornare quattro giorni dopo, il lunedì. L’operatrice al telefono mi informa che dovrò concordare la risalita con gli stessi volontari.
Adesso ci addentriamo in un labirinto kafkiano, cercate di seguirmi perché non ci ho capito granché neppure io: una volta scesa chiedo di poter stabilire il rientro a casa e mi sento rispondere che non è compito loro, gli interventi vanno tassativamente prenotati attraverso ALER in accordo con il centro operativo e con 24 ore di anticipo, mi appunto mentalmente di chiamare la domenica mattina.
Peccato che nel fine settimana l’ufficio preposto sia chiuso, quindi provo a contattare direttamente Croce Rossa che mi comunica che loro possono accettare richieste solo attraverso ALER con 24 ore di anticipo... Un loop infernale da cui temo non uscirò mai.
Quando il lunedì mattina chiamo e mi sento rispondere che “non avendo telefonato con 24 ore di anticipo” molto probabilmente non potrò risalire in casa, se non ci fosse stato già in programma un altro intervento nel palazzo avrei tranquillamente potuto pernottare nell’androne, suppongo.
Intanto i giorni passano, i lavori di bonifica procedono veloci e a distanza di una settimana dal guasto i locali sono pronti per essere ispezionati e gli ascensoristi in attesa del via libera.
In un mondo ideale ATS avrebbe percepito come prioritario un intervento che riguardasse tante persone anziane e con disabilità ma siamo in quel paradiso della malversazione chiamato Regione Lombardia, dove sanità e welfare non si creano ma si distruggono, scema io a pensare che una palazzina di miserabili possa venire prima di un locale in centro.
Scema io a pensare di avere comunque a disposizione il jolly della Croce Rossa perché, (e questa è una cosa talmente inconcepibile che dovrebbe finire su qualche testo di studio di come non si devono fare le cose, ma neanche per sbaglio) I NUMERI DEGLI INTERVENTI SONO LIMITATI, la locomotiva del Paese, eccellenza di questo e quello ha un budget risicatissimo per i servizi essenziali di assistenza alla persona.
Io ho potuto permettermi di non uscire, sempre sperando di non incorrere in qualche emergenza; le persone con disabilità vivono costantemente con quel retrogusto di ansia, perché non saprai mai se l’albergo che hai prenotato sarà davvero accessibile o se in caso di necessità improvvisa riuscirai a prenotare l’assistenza per la salita al treno prima delle canoniche 24 ore o arriverà un mezzo pubblico di ultima generazione.
Ma qui stiamo parlando di negare ad un ragazzo che necessita di essere seguito giornalmente il diritto allo studio, all’apprendimento e all’assistenza da parte di personale competente, il tutto nel disinteresse generale. Se Samuel avesse voluto continuare ad andare a scuola nella settimana che ha preceduto la riparazione avrebbe dovuto pagare di tasca sua 200 euro al giorno ed ovviare a proprie spese all’incapacità della più vasta azienda di edilizia residenziale del Nord Italia di risolvere in tempi dignitosi una situazione vergognosa.
Non è ammissibile che una donna che decide di portare il proprio nipote in un paese lontano in cui le sue problematiche possano essere meglio affrontate arrivi a pensare che il diritto a quella vita un po’ più che decente in realtà per lei non valga davvero perché arriva a maturare la convinzione che Samuel sia l’ultimo degli ultimi e come tale sia giusto che si accontenti delle briciole e magari dica anche grazie.
E ancora meno ammissibile è che per portare fare un po’ di luce su questa storiaccia e risolverla in 16 giorni “soltanto” siano dovuti intervenire i giornali e la politica.
Se queste sono le regole del gioco sono più che certa che non sarò l’unica a volerle cambiare, partendo con il veder scomparire dai radar della politica lombarda chi ha giocato con benessere e salute dell’intera popolazione al solo scopo di costruire un’immagine che è poco più di un fondale ben dipinto in mezzo al niente.
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