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  • Immagine del redattoreLaura Campiglio

L'enigmatica figura dell'assistente materna



A proposito di famiglia: mentre l’Italia tutta - dall’Alpe a Sicilia, dall’uomo della strada ai palazzi del potere - discetta da ormai 72 ore della pesca dell’Esselunga e mentre, sempre a proposito di famiglia, un tranquillo ingegnere di Alessandria ha sterminato la propria uccidendo tutti tranne l’anziana madre (l’anziana suocera invece sì, l’ha uccisa), ecco che dalla manovra 2024 salta fuori, ancora a proposito di famiglia, una professione nuova di zecca, circonfusa da quell’aura di sintomatico mistero che sempre accompagna le cose di cui non si capisce bene la natura, figurarsi l’utilità: l’assistente materna, figura enigmatica che il governo Meloni ha deciso di istituire stanziando allo scopo 100, forse 150 milioni (manco tanti: facendo una media di 125 milioni e dividendoli per i 392598 nuovi nati nel 2023 si ricavano 318 euro a bambino).


Ma vil denaro a parte, chi è, anzi chi sarà, costei? Al momento non è dato saperlo. Forse per non rovinare ai neogenitori l’effetto sorpresa, le informazioni sono poche e confuse. Di fin troppo chiaro c’è solo quell’aggettivo programmatico, assistente materna, a ribadire che nella bolla temporale di Palazzo Chigi gli anni Cinquanta non sono mai finiti e i figli sono, ora e sempre, cosa di donna. Ma per il resto, come del resto accade per figure arcane e esseri mitologici, l’assistente materna viene definita per sottrazione: non si sa bene cos’è, ma si sa cosa non è. L’assistente materna non è una psicologa, non è un’ostetrica, non è una puericultrice. Non avrà un profilo sanitario e non avrà bisogno di una laurea: basterà un corso di formazione di qualche mese, magari proprio nove, per potersi fregiare del titolo (impossibile, qui, sottrarsi al fortissimo déjà vu che ci riporta subito al 2018 e all’istituzione del navigator, figura professionale altrettanto impenetrabile). Sul piano della funzione, invece, il discorso del governo più che poco chiaro è surreale: in che modo e con quali mansioni le assistenti materne dovrebbero rendersi utili nell'improvviso casino che regna sovrano in ogni casa in cui arriva un nuovo nato? Ma ovvio, con una videochiamata! I genitori potranno chiamarla qualora avessero dei dubbi su come si cambia un pannolino (cosa invero piuttosto semplice, che ti insegnano a fare le ostetriche nella nursery di ogni ospedale oltre che millemila tutorial su YouTube e affini), ed ella non solo risponderà, non solo potrebbe anche rendersi disponibile per una videocall, ma potrebbe anche venire direttamente a casa tua per fartelo vedere. Il tutto per un totale di venti ore nei primi tre mesi di vita del neonato (estendibili a sei) e con una capillarità sul territorio che pari a tre assistenti materne ogni ventimila abitanti.


Spiegato così, il servizio non sembra essere particolarmente utile, ma il governo ha messo le mani avanti spiegando di aver mutuato l’idea dalla Francia, Paese modello del sostegno alla genitorialità dove infatti la natalità è tra le più alte d’Europa. Qui però deve proprio esserci un malinteso: è vero che in Francia le (o gli) assistenti materni esistono ed è vero che si chiamano proprio così, assistante maternelle, ma a meno che il sito ufficiale dell’Amministrazione francese menta, si tratta di (cito alla lettera) “una o un professionista della prima infanzia che accoglie i bambini generalmente sotto i sei anni presso il proprio domicilio o presso delle strutture denominate casa delle assistenti materne”. Insomma qualcuno che i bambini fino ai sei anni te li tiene mentre tu lavori o fai altro, non una tizia che ti spiega in videochiamata che la pasta allo zinco è ottima per le irritazioni da pannolino e che per le coliche ci vogliono pazienza e sangue freddo.


Attenzione, non si sta negando che ai genitori con un neonato in casa servano sostegno e aiuti concreti: al contrario, soprattutto nei primi mesi i cambiamenti sono tali e tanti che ogni mano tesa è bene accetta. Solo che non si capisce perché inventarsi una nuova figura dalle competenze poco chiare anziché rivolgersi alle figure già esistenti e dotate di una formazione specifica in materia. Le psicologhe, le ostetriche, le puericultrici e le operatrici dei consultori familiari esistono già: non sarebbe meglio mettere loro in condizione di lavorare meglio piuttosto che creare un nuovo soggetto di utilità francamente dubbia?

Un’ultima nota amara, per concludere, riguarda la solerzia con cui la stampa, nel riportare la notizia, si è allineata alla narrazione governativa: se in altri casi (per esempio la richiesta di Giorgia Meloni di farsi chiamare il presidente, al maschile) le redazioni dei giornali hanno optato per un ripristino del senso della realtà (la presidente Giorgia Meloni), stavolta non c’è una sola testata che si sia sforzata di scegliere parole più adatte, parlando di sostegno alla genitorialità, alle famiglie, alle mamme ma anche ai papà: l’aiuto, se di aiuto si può parlare, sembra essere rivolto solo alle neo-mamme. Del resto si sa, i pannolini li cambiano loro.




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