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  • Immagine del redattoreStefano Catone

L'estinzione dei boschi alpini



“Addio abeti rossi, pini marittimi e cipressi. Così clima, parassiti e specie aliene cambiano il paesaggio dei nostri boschi”. Titola così, oggi, un articolo a firma di Elena Dusi pubblicato da Repubblica. Il riferimento, in particolare, è alla tempesta Vaia che ha colpito il nord-est e alla proliferazione del bostrico tipografo (che abbiamo raccontato in Sottocorteccia) che, dal nord-est, ha ormai percorso verso ovest l’intero arco alpino. “L’albero di Natale”, scrive Dusi, “non è l’unico a farsi da parte nel paesaggio italiano della nostra infanzia” e, interrogata Antonella Canini, presidente della Società Botanica Italiana e docente all’università di Roma Tor Vergata, lo sguardo si amplia: “Il riscaldamento globale”, spiega Canini, “permette da una parte un più facile attecchimento delle specie esotiche e dall’altra rende più fragili alcune specie tipiche del nostro paesaggio. Il pino, il castagno, l’olmo, subiscono malattie importanti per attacchi fungini, cocciniglie, ma anche per l’inquinamento”.


Identiche – se non addirittura più repentine – dinamiche interessano i ghiacciai alpini (cfr. I ghiacciai raccontano). Il loro arretramento, fino alla loro scomparsa, rappresenta un dato di fatto: neppure la primavera più nevosa da qualche anno a questa parte sembra aver rallentato lo scioglimento.


Stiamo assistendo a profonde mutazioni del paesaggio le cui cause risalgono sostanzialmente a un fattore: il cambiamento climatico generato dall’uomo. Una responsabilità che tendiamo a rifiutare, un cambiamento che tendiamo a rimuovere, nonostante sia davanti ai nostri occhi. Invertire la rotta, come sappiamo, è impresa titanica, che comporta costi e abitudini da modificare. Non vogliamo farlo e, anzi, ci aggrappiamo con i denti “ai bei tempi andati” che non esistono più, i tempi delle gare sulla neve a fondovalle ad agosto (si veda il caso di Livigno) e delle piste da sci con impianti di risalita a quote dove oggi non nevica più (si veda il caso del Monte San Primo). Ci aggrappiamo con nostalgia a un pacchetto di tradizioni inventate dall’uomo negli ultimi decenni, mentre i veri elementi caratteristici del nostro paesaggio e, quindi, della nostra cultura, stanno letteralmente scomparendo, nel disinteresse dei più.

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