Sì, l’unico modo per sottrarsi a questa cappa di tradizionalismo e di paternalismo, giunti a una “temperatura” che ha superato il record mondiale di retrogradi, è prendere l’iniziativa. Farsi spazio. I babbioni lascino il posto a chi ha uno sguardo più lucido, più promettente, più libero. Lo pensavo quando ero giovane, ora lo penso anche di più.
È vero, l’Italia è un paese che invecchia, l’elettore medio ha settordicimila anni, la ricchezza rimane saldamente nelle mani delle generazioni precedenti, che al massimo – gentili che sono – “aiutano” quelle successive. Però c’è un però grande come una casa. Perché l’Italia offre di sé una foto che se è possibile è ancora più vecchia di quanto non lo sia davvero. Nega cambiamenti che si sono già consumati, non vede realtà che invece la rappresentano ormai a pieno titolo, si affida ad etichette di decenni fa, si misura su sfide che non esistono più (e che di solito abbiamo perduto) e non coglie quelle che invece, altrove, hanno compreso benissimo.
Quindi, per esempio, diamo voci a nuovi autori, parlando del nostro lavoro editoriale? E per quanto riguarda la classe dirigente, per esempio, alle prossime Europee facciamo in modo di candidare e votare le italiane e gli italiani (anzi, le europee e gli europei) del presente e del futuro? Così, come metodo.
Perché c’è un problema di soggettività che va rappresentata: sul clima, esempio più clamoroso, sul lavoro, sul dato economico generale. Pensate alla casa.
Chi ne ha una o più di una sente l’urgenza di aprire il mercato immobiliare e renderlo più accessibile? Forse no, non particolarmente, almeno. Tutti gli altri, che invece si trovano a dover pagare un affitto superiore allo stesso stipendio che percepiscono? Già.
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