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Nel giro di pochi giorni, prima Andrea Delmastro è stato travolto dalle polemiche per il suo uso disinvolto, diciamo così, delle istituzioni, poi Gilberto Pichetto si è reso protagonista di una figura di merda di portata mondiale assentandosi, da ministro dell'Ambiente di un Paese G7, dalle fasi finali della Cop 28, dopo giorni in cui peraltro vi si aggirava come un bimbo che si è perso al supermercato. Cos’hanno in comune Delmastro e Pichetto, oltre a esser esponenti dello stesso Governo? Sono di Biella. E no, la Bielleide non è un’epica saga come quelle raccontate in Eroi di Andrea Pennacchi: perché in questa storia, di eroi, purtroppo, non ce ne sono.
Anche chi scrive è di Biella (per nascita e anche per scelta, insomma quel ritorno alla provincia di cui abbiamo scritto nell’ultimo numero di Ossigeno, a proposito), e quindi innanzitutto scusate, davvero: non siamo tutti così, noi biellesi. Anzi, a dire il vero iniziamo a chiederci cosa abbiamo fatto di male per meritarci tutto questo. Biella non è esattamente un trend topic, e questa è una cosa di cui i biellesi un po’ si lamentano e al tempo stesso un po’ sono contenti. Vorrebbero essere apprezzati di più, ma anche no, e lo so, è difficile da capire, del resto il simbolo del territorio è l’orso e il motto non è “stame su da doss” (“stammi su da dosso”: non starmi addosso, gira al largo) ma avrebbe perfettamente senso.
In tutta la storia biellese si contano solo un pugno di fatti memorabili: l’eroico sacrificio di Pietro Micca contro i francesi (1706), Quintino Sella che da ministro prova a salvare dal default l’Italia appena riunificata (1864), Aiazzone che invade le tivù con i suoi spot “isole comprese” (nei magici anni Ottanta) e poi praticamente più nulla fino a pochi anni fa, quando improvvisamente ecco l’escalation: i banchi a rotelle della ministra Azzolina, il tizio che si presenta all’hub vaccinale con il braccio di gomma e ora, infine, Delmastro e Pichetto. Che noi conoscevamo già molto bene, intendiamoci: il primo è un figlio d’arte (il padre Sandro è stato parlamentare per la stessa parte politica, per un paio di legislature; i due erano noti rispettivamente come "Delmastrone" e "Delmastrino"), e se Formigli è rimasto colpito dalle sue recenti citazioni dal gergo mussoliniano, beh, avrebbe dovuto sentirlo nei lunghi anni di gavetta, quelli di politica sul territorio (nella foto, lo potete apprezzare mentre indossa la maglietta di una band nazi-rock che elogiava Priebke, mentre addomestica un rottweiler, ma non fatevi ingannare: fra i due, quello pericoloso è il padrone). Il secondo, che oggi viene scoperto per la sua inconsistenza, in realtà lavora a questa sua peculiare dote sin dalla metà dagli anni Settanta, quando iniziò il suo cursus politico prima nei Repubblicani e poi, dopo la fine della Prima Repubblica, con Berlusconi, cui è rimasto fedele forse anche solo per il fatto che, un po’ come il Candido di Voltaire, la sua saggezza risiede nella capacità di “non porsi troppe domande e nell’occuparsi del proprio particolare”.
Quando, da biellesi, abbiamo saputo del ruolo che il nuovo esecutivo avrebbe affidato al primo, non eravamo stupiti, semmai preoccupati. Quando abbiamo saputo del secondo, abbiamo pensato fosse uno scherzo. In entrambi i casi, ci siamo preparati a ciò che poi effettivamente, come dicono le cronache, sta succedendo. Sperando che il Paese ci voglia guardare con benevolenza: abbiamo le nostre belle Prealpi, la polenta concia, il Ricetto di Candelo dove nel 1968 la Rai ambientò lo sceneggiato La freccia nera (sic!), il borgo del Piazzo, l’archeologia industriale e la Cittadellarte della Fondazione Pistoletto, e i rimasugli di una gloriosa operosità, specialmente tessile, anche se ormai quasi del tutto estinta, e poi... beh, non molto altro, a dire il vero, comunque non siamo malaccio, insomma, dateci un’altra possibilità. Ma soprattutto, la prossima volta, prima delle nomine, un colpo di telefono datecelo.
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