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Immagine del redattore Paolo Cosseddu

La destra europea esce dalla porta e rientra dalla finestra



Alla fine, chi temeva che i nuovi equilibri europei si spostassero più a destra con le elezioni di quest’anno, dopotutto, non ululava alla luna. Sì, è vero, non c’è stata un’ondata diretta che ha spazzato via tutto e ribaltato gli equilibri precedenti (nessuno arrivava a sostenere tanto, però), e la maggioranza senza la quale non sarebbe stato possibile riconfermare Ursula Von Der Leyen è uguale a quella che la sosteneva nella legislatura precedente, formata da liberali, popolari e socialisti, con i verdi a puntellare. Giorgia Meloni si è tirata fuori malgrado i lunghi mesi di corteggiamento con la nuova-vecchia presidente UE, e come lei le altre destre in tutte le loro articolate sfumature. Ma, senza divisioni, una destra unita sarebbe oggi in grado di competere direttamente con il Ppe per il primato: la matematica non mente. In qualche modo, le proposte per la nuova squadra di commissari doveva tenerne conto, sia perché gli equilibri politici sono quelli, sia perché bisognava raccogliere le richieste di ogni singolo Paese membro, e infatti così è stato: risultato, l’elenco annunciato da Ursula Von Der Leyen compone una commissione più a destra di quella uscente, malgrado le ironie di chi aveva liquidato questa preoccupazione come esagerata. Ora dovrà passare l’esame di Bruxelles, ma è il profilo è quello, tra no-vax, fissati del rigore, securitari, scettici del cambiamento climatico, e il curioso caso di un vicepresidente italiano con delega alla coesione (prima in capo al Portogallo, quindi non proprio una prima scelta), espressione di un governo, quello italiano, che la coesione la osteggia apertamente. C’è un che di schizofrenico, visto che è stata la stessa Presidente a chiedere a Mario Draghi un impegnativo rapporto sulla competitività, e oggi propone un elenco di possibili attuatori che talvolta non solo sono in contrasto con il suo programma, ma anche con le linee contenute in quel rapporto.

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