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Immagine del redattoreLaura Campiglio

La legge elettorale, spiegata male



Mancano tre giorni alle elezioni e quarantott’ore al silenzio elettorale: è giunto il momento, ora o mai più, di giocare la carta della schiettezza, guardarci negli occhi e ammettere finalmente la verità che sino a oggi abbiamo sottaciuto, una verità che ci affratella e ci accomuna in un unico popolo quale che sia il nostro voto. Questa verità: noi del sistema elettorale non abbiamo capito una benemerita cippa.

A nulla sono valse le lenzuolate sul rosatellum spiegato bene, vane le infografiche e le schede, i thread di Twitter inutili come le stories di Instagram e i video di youtube (i cui titoli denunciano implicitamente la difficoltà della materia: il rosatellum in due minuti, il rosatellum spiegato ai bambini) be’, è come non averli visti.


Nonostante i pur encomiabili tentativi di spiegarla anche a noi anime semplici, la legge elettorale resta un mistero impenetrabile, un marchingegno astruso che non potremo mai afferrare.

Che posso permettermi di parlare al plurale l’ho scoperto l’altro ieri al bar: per mesi sono rimasta convinta di essere l’unica ad averci capito poco, vergognandomene contestualmente. Poi l’altra sera l’illuminazione: vuoi vedere, mi sono detta guardandomi intorno, vuoi vedere che invece non sono sola? E se anche per i miei compagni di bancone – tutta gente di un certo livello eh, mica scappati da casa come la sottoscritta: c’è persino qualcuno che alla fine quella laurea in giurisprudenza l’ha presa – la legge elettorale dimorasse stabilmente nell’antro oscuro dell’incomprensibile? Così ho azzardato una domanda secca: ma voi il rosatellum l’avete capito? Potete rispondere solo sì o no.

Un silenzio di tundra è calato sul bancone: improvvisamente tutti erano molto interessati ai dettagli delle venature del legno. Vabbè inizio io, ho detto (quando una è coraggiosa è coraggiosa): No. Io, cari amici, non c’ho capito un cazzo.

Sospiro di sollievo liberatorio: non avevano capito un cazzo neanche gli altri, e trenta secondi dopo brindavamo tutti insieme al mezzo gaudio derivante dal mal comune.


Attenzione però: gli elementi basilari, quelli che se esistesse un bigino sul rosatellum sarebbero scritti in grassetto, li padroneggiavamo più o meno tutti. Il sistema elettorale che è in parte maggioritario e in parte proporzionale, un po’ più di un terzo dei seggi con uninominale secco, un po’ meno di due terzi col proporzionale in collegi plurinominali a liste bloccate: ecco, questa è la frase formulare che abbiamo ripetuto tutti a pappagallo come dei bravi scolaretti. Ma da lì in poi, una ridda di dubbi e domande inevase.

Intanto i collegi: quanti sono, quali sono, dove, e soprattutto in che collegio sono io? Controlliamo su Google e scopriamo che anche ai collegi, come alle scale di Hogwarts, piace cambiare: tra uninominale alla Camera, uninominale al Senato, plurinominale alla Camera e plurinominale al Senato, può capitare di ritrovarsi a dover scegliere tra candidati diversi da quelli che ci si aspettava (di qui la classica domanda: ma come faccio a votare Coso se non c’è? Fai come se ci fosse, benedetto figliolo: metti una X sulla lista di Coso e via).

Poi la questione dello sbarramento: ok che è al 3% per le singole liste e al 10% per le coalizioni, ma quella storia dello sbarramento implicito com’è? Chi l’ha capita? Nessuno. Sappiamo solo che per qualche arcana ragione nelle regioni in cui si eleggono meno senatori, la soglia di sbarramento sarà sulla carta sempre il 3%, ma nei fatti più alta anche di parecchi punti percentuali.


Ma si può fare il voto disgiunto?, chiede candidamente il distrattone di turno, subito subissato da un coro di no.

Poi arriviamo alla nota dolentissima, quella che è un po’ come quando il professore crudele ti faceva la domanda difficile nella certezza che non avresti risposto: i resti, la loro redistribuzione nelle varie circoscrizioni, i partiti eccedentari e quelli deficitari, la legge matematica che regola il tutto di cui nessuno ovviamente ricorda il nome e altre incognite a cui accenniamo confusamente, scuotendo la testa sconsolati.

Ora, tutto questo avrebbe anche un suo tratto comicamente paradossale (per dire, c’è quello che quando i figli gli chiedono lumi su come si voti finge di avere una chiamata urgente, un colpo di sonno, un malore), se solo la questione non fosse così seria. E così grave, anche: essendo il sistema elettorale il mezzo attraverso cui il consenso, e quindi i voti, viene trasformato in rappresentanza politica, e quindi in seggi, è evidente che se il sistema elettorale è troppo complesso – e mi piace pensare che lo sia, perché l’alternativa è che io e tutti i miei amici siamo una banda di inetti (il che a volte è pure vero, ma non sempre) – l’elettore non è in condizione di esercitare il diritto di voto con piena cognizione di causa.


Non solo: la chiarezza sulle regole del gioco è il fondamento costitutivo di una campagna elettorale onesta, senza il quale si può dire più o meno la qualunque. E infatti ne abbiamo viste, in queste settimane, di letture quanto meno fuorvianti, tipo la vulgata secondo cui i duri e puri sarebbero quelli che vanno da soli, dimenticando di aggiungere che con queste soglie di sbarramento (e il tema dello sbarramento implicito, che anche se nessuno l’ha capito c’è) andare da soli significa chiedere scientemente agli elettori di disperdere il proprio voto regalandolo di fatto agli avversari. Abbiamo sentito anche castronerie manifeste, tipo che se voti una lista di sinistra in una coalizione di centrosinistra staresti svendendo il tuo voto al centrosinistra anziché – appunto – votare quella lista ed eleggerne i candidati.


Resta sul tavolo una domanda: perché? Perché una legge così complicata, mai modificata nonostante tutti i correttivi promessi dopo la riforma costituzionale sul taglio dei parlamentari?

Qui le opinioni divergono: il team insicuri e/o affetti da sindrome dell’impostore geme che la colpa è nostra, siamo noi che non abbiamo fatto abbastanza per informarci; il team più incline alla dietrologia prontamente ribatte che più complicata è una legge elettorale, più c’è spazio per far entrare questo o quel nome tramite meccanismi che trascendono il semplice dato del numero di voti.

Chi ha ragione? A pensar male, andreottianamente, ci si azzecca anche stavolta? Non è certo stasera che risponderemo, anche perché arrivati a questo punto abbiamo tutti – non noi al bancone: noi elettori – la capacità di discernimento di un pugile suonato.

Per ora ci teniamo la nostra saggezza socratica, la benemerita cippa che sappiamo di non sapere. E a tutto il resto pensiamo lunedì.




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