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Immagine del redattoreLeonardo Bianchi

La politica letale della nostalgia

Aggiornamento: 12 mag 2023



Esattamente trent’anni fa Waco, una città di circa 140mila abitanti nel Texas, è stato il teatro di uno dei più clamorosi e cruenti casi di cronaca della storia recente statunitense. Dal 28 febbraio al 19 aprile del 1993 le forze dell’ordine federali hanno assediato il Mount Carmel Center, un ranch che era diventato il quartier generale dei Davidiani – una setta cristiana avventista guidata dal predicatore David Koresh, pseudonimo di Vernon Wayne Howell. In base alle segnalazioni di alcuni ex membri, l’fbi sospettava che gli adepti detenessero illegalmente moltissime armi e che all’interno della comunità fossero avvenuti abusi sessuali su minori. Dopo vari scontri armati e ben 51 giorni di stallo, gli agenti decisero di fare irruzione una volta per tutte. La reazione tra i gas lacrimogeni e la benzina innescò un gigantesco rogo in cui morirono 82 persone – tra cui diversi bambini e lo stesso Koresh.

Da allora Waco è ritenuta una città martire dal movimento suprematista bianco e dai gruppi dell’estrema destra americana – il simbolo insanguinato della malvagità delle autorità federali. Ma è anche altro: un qualcosa di decisamente sinistro. Come ha ricordato la docente Kathleen Belew, autrice del saggio Bring the War Home, Waco è un “alibi per il terrorismo interno: siccome il governo ha ucciso i davidiani, allora la violenza contro il governo è giustificata”. E infatti, l’assedio al ranch è stato usato dall’estremista Timothy McVeigh come giustificazione per bombardare l’edificio federale “Alfred P. Murrah” a Oklahoma City nel 1995, causando 168 morti in quello che ancora oggi è il più letale attentato compiuto da un cittadino statunitense. Insomma: Waco non è un posto qualsiasi.


Nonostante ciò – o forse proprio per questo – Waco è anche il posto in cui Donald Trump, il 25 marzo del 2023, ha inaugurato la sua campagna elettorale per le presidenziali del 2024. Il comizio si è aperto con la canzone Justice for All, (‘Giustizia per tutti’), cantata da alcuni assalitori del Congresso statunitense e intervallata dalla voce di Trump che recita il giuramento di fedeltà alla bandiera americana. Il messaggio non potrebbe essere più chiaro: l’assedio del 6 gennaio 2021 è stato un atto di resistenza contro un regime tirannico, e chi l’ha compiuto è un prigioniero politico ingiustamente incarcerato.

Nel corso della sua orazione l’ex presidente ha promesso vendetta e violenza contro i propri oppositori – su tutti il procuratore di Manhattan Alvin Bragg, che l’ha incriminato per irregolarità fiscali relative al pagamento dell’ex attrice porno Stormy Daniels – strizzando ripetutamente l’occhio all’estrema destra. A un certo punto ha parlato di un nuovo “baby boom” e annunciato che farà di tutto perché avvenga. In un’intervista all’emittente pubblica PBS, la politologa Barbara Walter ha sottolineato che “il ‘baby boom’ [di Trump] si riferisce alla nascita di bambini bianchi, per assicurare che i bianchi rimangano la maggioranza demografica; il messaggio è che l’America è un paese per bianchi cristiani, e basta”. Trump ha poi tratteggiato uno scenario apocalittico. L’elezione presidenziale del 2024 “sarà la battaglia finale, quella più grande di tutte. Se mi rimettete alla Casa Bianca, il loro regno [cioè dei democratici, NdA] finirà una volta per tutte e l’America sarà di nuovo una nazione libera”. Il tutto è stato declamato sulle note della canzone WWG1WGA (acronimo che sta per Where We Go One, We Go All, ‘Dove va uno andiamo tutti’), composta da un seguace di QAnon – il movimento complottista nato nel 2017 sulla imageboard 4chan ed esploso con la pandemia di Covid-19. Anche questa circostanza non è causale; è invece il segno di una profondissima radicalizzazione, ormai impossibile da fermare.

Sono anni che Trump rilancia contenuti qanonisti. Secondo i calcoli del giornalista Alex Kaplan sul sito Media Matters, quando era ancora su Twitter l’ex presidente l’ha fatto per ben 315 volte, amplificando 168 account individuali. Va notato che di queste 315 volte, 219 sono avvenute nella fase più critica della pandemia: quando è in difficoltà, Trump punta a distogliere l’attenzione dai suoi problemi buttandola in caciara. C’è poi un altro motivo per cui QAnon ha sempre stuzzicato l’attenzione dell’ex presidente: i qanonisti lo considerano “il Prescelto”, e Trump vede di buon occhio qualsiasi storia che lo veda protagonista.

Uno dei punti centrali della teoria è che il governo degli Stati Uniti sia segretamente controllato da una “cricca” di pedofili satanisti (che vanno da Barack Obama a Tom Hanks), e che solo Trump – insieme a una rete segreta di militari e “patrioti” – sia in grado di sconfiggerla. Nel gergo di QAnon, l’arresto di massa e la successiva deportazione a Guantanamo prende il nome di The Storm, ‘la tempesta’.

Una volta completata la purga, nulla a quel punto potrà impedire il “Great Awakening” (il ‘grande risveglio’), ossia l’avvento di una nuova età dell’oro, in cui Trump guiderà un regime autoritario-teocratico, di cui lui sarà la divinità centrale. Come ha spiegato il pastore Charles Pace – il successore di David Koresh – Trump è “l’unto dal Signore, l’ariete che Dio sta usando per abbattere lo stato profondo di Babilonia”. In realtà, il vero bersaglio è la democrazia: dopotutto, al centro di QAnon e del trumpismo c’è il sogno di un colpo di stato.

Ma la questione, ovviamente, non riguarda solo gli Stati Uniti. E lo stesso ardente sogno accomuna molti altri leader e movimenti di destra in giro per il mondo.


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