Ieri sera è andato in onda il momento più basso nella storia dell’informazione pubblica. Non era facile. Intanto, quella del direttore del Tg1 Gian Marco Chiocci al ministro Sangiuliano non era un’intervista, somigliava più a uno di quei piatti precotti da scaldare al microonde: una sequenza di domande e risposte premasticate e predigerite, con le pezze d'appoggio a fare da oggetti di scena. Se l’obbiettivo era quello di presentarsi davanti agli italiani per dimostrare disponibilità e trasparenza, si doveva accettare il rischio di qualche ulteriore richiesta di approfondimento e chiarimento, invece di limitarsi a recitare un copione. Si è visto l’esatto contrario.
Il genere del politico fedifrago che vuole fornire la propria versione di una scappatella e scusarsi, ma al tempo stesso non è esattamente così confident da voler rispondere a domande non previste non è certo nuovo, e non a caso è quasi un format: una dichiarazione scritta, letta col giusto grado di contrizione, e al limite la moglie alle spalle, incazzata ma comunque presente, vestita in completo pastello e con filo di perle al collo. Grazie, nessuna domanda, e finisce lì. Che poi funzioni o no, è un altro paio di maniche, ma che un giornalista, nel caso un direttore del primo telegiornale pubblico del Paese, si presti a recitare il ruolo dell’asta del microfono, è umiliante. Infine, che una simile messinscena spacciata per informazione venga confezionata in uno spazio apposito e lungo, e posizionata strategicamente in modo da esser presentata a un pubblico, quello della tivù generalista e che paga il canone, che si ritiene più facilmente coglionabile, meno informato, meno propenso ad approfondire, questo invece no, non è per niente inedito, o almeno non negli intenti. È solo l’ennesimo esempio di come questa maggioranza esercita il suo potere sulla Rai da quando è al Governo, al limite un’evoluzione, ma di una pratica ormai consolidata.
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