“Gravi ingerenze nell'attività giornalistica da parte dell'editore, delle aziende a lui riconducibili e di altri soggetti privati”: il comunicato del comitato di redazione di Repubblica, i cui giornalisti sono in sciopero, è più esplicito che mai. Ne abbiamo parlato anche sull’ultimo numero di Ossigeno, includendo la storica testata nel lungo elenco di situazioni che caratterizzano il profondo stato di crisi dell’informazione in Italia. Se nel caso della Rai l’ingerenza padronale arriva direttamente dal Governo (gli esempi sono innumerevoli), in quello di Repubblica si tratta delle aziende della famiglia Agnelli, il cui interesse primario è quello di controllare le notizie che la riguardano. Viene così a mancare un’informazione compiuta sulla dismissione in corso del comparto auto in Italia, ad esempio, e si arriva al punto di mandare al macero 100mila copie già stampate di Affari & Finanza per evitare l’uscita di un pezzo critico con la proprietà, poi ammorbidito nella ristampa.
Come se non bastasse, a sciopero in corso il comitato denuncia il tentativo dei vertici della testata di aggirarlo, e chiede alle associazioni di categoria l’apertura di un procedimento per comportamento antisindacale.
I conti, peraltro, non sembrano premiare questa linea editoriale: la crisi della stampa cartacea è sicuramente precedente a questa gestione, basti pensare che nel decennio 2008-2018 Repubblica era passata da 580.542 copie al giorno a 206.092. Oggi, i due quotidiani Repubblica e Stampa, che condividono la stessa proprietà, sommati tra loro vendono circa 173mila copie: nel 2021, da sola, Repubblica ne vendeva 162.500, Nella prima metà del 2024, il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari ha perso l’8 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, e il 35 per cento rispetto al 2021. Sarà per via del fatto che il lettore non vi trova più le notizie stampate sopra?
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