giuseppe civati
Le parole alla deriva
Quello che vedete è un breve passaggio di Io capitano di Matteo Garrone (in particolare del suo trailer). Un film atteso a Venezia. Il ragazzino che vedete la politica e i media lo chiamerebbero «scafista». Perché guida la barca che conduce verso l’Europa. Benché ovviamente non sia un trafficante, né un malvivente ma solo una ragazzino che vuole arrivare in Europa.
«Scafista» è solo una delle tante parole che sono andate alla deriva, in questi anni. Come «clandestino». Come «invasione». Come tutto ciò che ha a che fare con una novità che diventa paura e che si trasforma in voti.
Nel numero di Ossigeno dedicato a Lampedusa, ai dieci anni passati invano (anzi, in peggio), si discute anche di questo, seguendo le vicende processuali – e la carcerazione preventiva – di persone che nulla hanno a che vedere con il traffico di uomini.
Si parla delle organizzazioni non governative che sono diventate «taxi del mare» grazie al M5s, alla “legalizzazione” dei campi libici che il Pd ha voluto quando governava, dell’oscena propaganda di Lega e, ancora, 5 stelle sui «porti chiusi» e alla cavalcata elettorale di Giorgia Meloni con il suo inattuabile «blocco navale».
Nel frattempo decine di migliaia di persone (persone, l’unica parola che non viene mai usata) morivano. Ed è parso questo a quasi tutta la politica italiana il modo migliore per gestire e ridimensionare i flussi e gestire l’immigrazione.
Una politica cinica. E bara. E in questo caso non si tratta di un aggettivo.