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  • Immagine del redattoreDavide Serafin

Lost in PNRR



Che la coabitazione tra il governo Meloni e le misure contenute nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza fosse difficile lo si era capito sin dall'inizio. Le evidenze sui ritardi e sulla faciloneria nel dichiarare chiusi interventi che non lo erano stanno diventando talmente manifeste da superare la cortina fumogena che avvolge il PNRR sin dal suo avvio.

Gli accadimenti di questa settimana avrebbero peraltro dovuto gettare il paese nel più profondo degli allarmi, e invece pare che così non sia, distratti come siamo dalla carne sintetica e dai biocarburanti. Emblematiche le parole del presidente Mattarella, che invita tutti a «»mettersi alla stanga», pronunciate il 24 marzo a Firenze, in apertura della Conferenza nazionale delle Camere di Commercio, il cui titolo appare persino un po’ beffardo: "Progettare il domani con coraggio". In questo paese non v’è certezza dell’oggi, figurarsi del futuro.


Mettersi alla stanga, che significa in parole povere lavorare sodo e pancia a terra, non è di certo nelle attitudini di questo esecutivo, fin dal primo giorno volto a dichiarare la necessità di una revisione del PNRR e di posticiparne le scadenze. Il lunedì successivo, 27 marzo, quasi in sordina, viene pubblicata una nota di Palazzo Chigi in cui si avvisa che a «seguito degli incontri del Ministro per gli Affari europei, del Sud, delle politiche di coesione e PNRR, Raffaele Fitto, con il Commissario europeo per l’Economia, Paolo Gentiloni, e con la task force PNRR della Commissione Ue, è stato concordato di prolungare di un mese la fase di assessment per consentire ai servizi della Commissione di completare le attività tecniche di campionamento e verifica». La Commissione avrebbe quindi rilevato tre anomalie dei 55 obiettivi dichiarati chiusi da Meloni al 31 dicembre 2022 (nella fantomatica conferenza stampa dei 100 giorni), limitatamente a i) la revisione del regolamento per la disciplina delle concessioni portuali, ii) gli appalti per l’installazione degli impianti di teleriscaldamento, iii) i progetti di rigenerazione urbana nelle città metropolitane. Nel primo caso è lamentato un provvedimento difforme dal requisito iniziale, ossia che le concessioni portuali abbiano una durata massima certa, definita per legge e non attraverso i bandi; nel secondo e terzo sono contestati specifici interventi che esulano dall’obiettivo della specifica missione del piano da cui scaturiscono, in particolare si cita il progetto della città di Firenze che dovrebbe prevedere anche il rifacimento dello stadio Artemio Franchi, non proprio quello che ci si aspetterebbe dalla cosiddetta "rigenerazione urbana”, la quale dovrebbe intervenire su contesti urbani degradati apportando benefici anche alla sfera della socialità, alla sostenibilità ambientale, in generale alla qualità della vita nei quartieri più periferici. Questi interventi sono stati ammessi con troppa facilità all’interno dell’alveo del PNRR e certamente la responsabilità ricade ampiamente sull’esecutivo di Draghi.


Ma, attenzione, perché nella nota del governo nulla è riferito circa lo stato delle dodici scadenze del 31 marzo. In ballo vi sono altri 19 miliardi di fondi da stanziare. Stando alla rilevazione della fondazione Openpolis - che sta svolgendo una encomiabile operazione di sorveglianza sullo stato di attuazione del piano in un contesto di scarsità informativa - tutte e dodici le misure non sono completate e ben nove di queste sono in alto mare, tra cui per esempio la riforma del Codice degli Appalti, presentata in extremis proprio l’ultimo giorno disponibile con il Decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36 e che già ha scatenato la protesta di sindacati e organizzazioni di settore. Invece, per quanto riguarda “l'aggiudicazione degli appalti pubblici per progetti di produzione di idrogeno in aree industriali dismesse”, sull’ormai dimenticato sito italiadomani.gov.it (il portale ufficiale dove dovrebbe essere comunicato ai cittadini il reale stato di avanzamento dei lavori) è riportata la laconica indicazione: “da avviare”. Qualche malintenzionato potrebbe considerarlo addirittura come epitaffio al fu PNRR.


Infine, è giunta la Relazione semestrale della Corte dei conti, una mattonata in testa al ministro Fitto. Tra gli aspetti rilevanti nella fase di attuazione, la Corte individua una criticità importante nelle modalità di reclutamento del personale dedicato al PNRR, che avviene con formule “non stabili”. Ciò ha fatto emergere «non poche difficoltà, per le Amministrazioni, nel garantire la continuità operativa delle strutture che, al contrario, necessiterebbero di un quadro di risorse certo per tutto l’orizzonte temporale del Piano». La penuria di profili adeguati interni alla PA è il punto di debolezza più importante: le amministrazioni locali, in particolare, non hanno sufficiente personale e non hanno sufficiente competenza per produrre i bandi pubblici, per realizzare i progetti, in sostanza per “mettere a terra” i miliardi di euro già stanziati. La Corte rileva i ritardi nella spesa dei fondi, e infatti la programmazione delle risorse è già stata oggetto di revisione nella NaDEf 2022 (che ha previsto una traslazione in avanti delle spese originariamente assegnate al triennio 2020-2022 per oltre 20 miliardi complessivi), ma al contempo segnala che la spesa sostenuta dalle Amministrazioni ammonta a 23 miliardi di euro, contro i 20,4 previsti per il periodo in esame, una accelerazione «dovuta sostanzialmente alla misura dei crediti d'imposta del piano Transizione 4.0 relativi ai beni strumentali innovativi e alle attività di formazione, nonché all'intervento di rafforzamento dell'Ecobonus-Sismabonus; in entrambi i casi si è registrato un livello di spesa molto più elevato di quanto previsto». Ma la situazione potrebbe essere persino peggiore se si conoscesse il dato effettivo relativo alla quota di utilizzo della misura Superbonus a carico del PNRR.


Un po’ di trasparenza, finalmente, sugli obiettivi semestrali: la Corte segnala che dei 55 obiettivi in scadenza al 31 dicembre 2022, «38 iniziative hanno esaurito gli obiettivi europei per le stesse fissati: si tratta di 31 riforme, segnando un progresso del 49 per cento sul totale di categoria, e 7 investimenti, pari ad oltre il 3 per cento del complesso [...]. Dette 38 misure non possono naturalmente considerarsi ultimate, in quanto le stesse potrebbero necessitare di step realizzativi ulteriori, rispetto agli obiettivi concordati in sede europea» (vale a dire che vi è deficit di decretazione attuativa, come al solito). Molto ci sarebbe da dire sulla effettività degli interventi. Guardiamo al caso dei progetti di riforestazione urbana: sebbene la misura fosse in origine costruita male in quanto ha finito per escludere i grandi contesti metropolitani come quello di Milano, dove l’alta densità abitativa ha di fatto reso impossibile individuare aree rispondenti al bando della riforestazione, cioè aventi una estensione di almeno tre ettari, gli interventi deliberati a fine 2022 - che dovevano consentire la piantumazione di 1,8 milioni di nuove piante - sono stati in molti casi vanificati da scelte sconsiderate, come quella di avviare le piantumazioni a partire dalla semina, o dalla mancanza di un piano iniziale di irrigazione e monitoraggio delle nuove piantine. Pertanto è del tutto aleatorio affermare che l’obiettivo della missione sia stato conseguito. Come lo sarà del resto per tutte le altre misure adottate di qui in avanti.

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