A Springfield, in Ohio, una signora perde il gatto. Lo racconta a un’amica, che a sua volta lo dice a un’altra amica, la signora Kimberly Newton. Anche la signora Newton pensa che la storia meriti di essere divulgata e così ne parla con la vicina di casa, la signora Erika Lee. La signora Lee è sconvolta e decide di riportare tutto su un gruppo Facebook della città. “La mia vicina mi ha informata che un’amica di sua figlia ha perso il gatto”, inizia a scrivere, qui già perdendosi un pezzo di realtà. “Un giorno è tornata a casa dal lavoro e, appena scesa dalla macchina, ha guardato la casa dei vicini, dove vivono degli haitiani, e ha visto il suo gatto appeso a un ramo, come un cervo da macellare, e lo stavano tagliando per mangiarlo”. La signora Newton ammetterà in seguito di non essere una fonte affidabile sulla vicenda, perché non conosce la persona che ha perso il gatto.
Ad ogni modo, uno screenshot del post viene poi pubblicato da un’utente di X, l’ex Twitter. E la notizia, non verificata, comincia a girare paurosamente. Il giorno dopo, un gruppo neonazista, Blood Tribe, che a inizio agosto si era recato a Springfield per una marcia non autorizzata e aveva in seguito minacciato il consiglio comunale durante un’assemblea pubblica proprio per la presenza della folta comunità haitiana a Springfield, condivide su Telegram uno screenshot dello screenshot, il tweet di X con all’interno la denuncia della signora Lee.
Il post passa di mano estremista in mano estremista finché, due giorni dopo, è Charlie Kirk, fondatore di una delle più note organizzazioni trumpiane, TPUSA, a lanciare l’allarme: “I residenti di Springfield, in Ohio, segnalano che gli haitiani stanno mangiando i loro animali domestici, un altro regalo del piano Biden-Harris per l’immigrazione di massa e la sostituzione”. Sostituzione intesa come etnica, ovviamente. “Sembra che i gatti delle persone vengano mangiati”, commenta Elon Musk.
Il giorno dopo, gli influencer di estrema destra Tim Pool e Benny Johnson, sotto inchiesta perché la loro casa di produzione avrebbe ricevuto soldi dalla Russia, ripubblicano l’immagine di un uomo con un uccello morto in mano: non si sa dove sia stata scattata la foto (loro sostengono Springfield), non si sa a quale specie appartenga l’uccello (un’oca, dicono loro) e non si sa se l’uomo sia americano oppure no (è nero e quindi haitiano, concludono loro), ma ora gli haitiani decapiterebbero pure le oche dei bravi cittadini di Springfield.
Altri influencer avvertono che una donna haitiana è stata arrestata a luglio dalla polizia di Springfield per aver mangiato un gatto: in effetti un povero gatto ha subito torture ed è stato mangiato, ma a farlo è stata un’americana di Canton, a oltre 270 chilometri da Springfield. I poliziotti di entrambe le città negano che si siano verificati altri casi simili.
È troppo tardi. Trascorre un altro giorno e JD Vance, il candidato repubblicano alla vicepresidenza degli Stati Uniti, riferisce di aver ricevuto diverse segnalazioni su animali domestici rapiti dagli immigrati haitiani. La sera stessa, è Donald Trump a ripetere la falsità in diretta nazionale, durante il dibattito televisivo con Kamala Harris. Il moderatore, David Muir di ABC News, prova a fare fact-checking, ma è inutile. “La gente lo ha detto alla televisione”, ribatte Trump. “Dicono: ‘hanno preso il mio cane’”.
Questa storia è un perfetto esempio di come nasce e si diffonde una teoria del complotto. In Manuale per fabbricare una teoria del complotto, in uscita con People, lo spiego nel dettaglio. Potremmo infatti far ricadere questa narrazione horror fra le teorie del complotto dal basso: si diffonde come una leggenda metropolitana fra la gente e poi sono i leader politici ad appropriarsene, aggiungendo quel tocco che la trasforma in cospirazione, cioè l’insabbiamento, oppure la sua presunta collocazione in una cospirazione più grande, come la sostituzione etnica.
E poi c’è la dimensione del capro espiatorio: perché proprio gli haitiani? In tutte le teorie del complotto c’è un nucleo di verità, perché sì, a Springfield sono arrivati, negli ultimi anni, fra i 15mila e 20mila haitiani, in fuga dalle bande criminali che hanno fatto deporre un governo nel loro Paese. Sono immigrati legali, hanno ricevuto un visto di protezione temporanea dal governo fino al 2026 e, pur ponendo problemi reali ai servizi sociali di una città da 60mila abitanti (come l’assistenza sanitaria, la sistemazione in alloggi decenti), hanno rivitalizzato l’industria e l’economia locale, in crisi di manodopera. È dunque il sentimento anti-immigrazione a favorire la teoria del complotto. Questo la rende plausibile per chi ci crede, al di là della sua base fattuale.
Non contano i fatti, conta l’ideologia. È una delle prime lezioni del propagandista malintenzionato. Nel corso del Manuale, fingerò di vestirne i panni affinché cadano e siano svelati tutti i trucchi per fabbricare una teoria del complotto e il disinformatore resti così nudo di fronte a una verità che non vuole accettare.
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