Dopo una breve assenza (non certo per mancanza di spunti, anzi – non stanno mai zitti) torna la rubrica “Cose che la destra dice che sarebbe fighissimo se fossero vere”. E, con l’occasione della chiusura della raccolta firme per il referendum cittadinanza, che si è conclusa il 28 settembre ben oltre la soglia del quorum, con più di 630.000 firme all’arrivo, non possiamo non dedicare questo spazio al tormentone che in quest’ultima settimana è arrivato dalla destra che trolla sui social e che governa nei palazzi: “Raccogliere 500.000 firme per presentare un referendum è TROPPO facile ora che si può firmare online”.
Borghi, che ha la straordinaria capacità di rientrare in entrambe le categorie, ha aggiunto: “Se si mette la firma digitale allora anche uno che vuol abolire il cappuccino se ha abbastanza followers si può svegliare e con quattro click ci arriva”. A parte i doverosi complimenti per il parallelo tra l'abolizione del cappuccino e un quesito che riguarderebbe 2.5 milioni di persone che vivono, lavorano e studiano in Italia, compresi i loro figli e figlie minori, che senza dubbio gli deve essere sembrata un'iperbole acuta, mi chiedo cosa abbia capito Borghi – e tutti gli altri che stanno commentando con delle variazioni sul tema – di quello che è successo in questo Paese negli ultimi 20 giorni.
Innanzitutto, non hanno capito che, quando un quesito arriva sulla piattaforma, ci arriva sulla scorta di lunghi confronti tra partiti, associazioni, parti sociali, costituzionalisti, avvocati, professori, attivisti. Quando Riccardo Magi ha lanciato la proposta di fare un referendum sulla cittadinanza, era fine luglio. Le riunioni agostane erano piene di persone e delle realtà che rappresentavano, e anche di dubbi, tra cui proprio: “Faremo in tempo?”. Il precedente era la raccolta firme sulla cannabis, raccolte sulla piattaforma privata, a pagamento. Sulla piattaforma governativa, nel 2024, oltre al referendum contro l'autonomia differenziata, che aveva già raggiunto il quorum anche contando solo l’online, altre proposte anche di grande importanza, come quella sulla legge elettorale, o quella sulla caccia e sugli allevamenti intensivi, non stavano tenendo un ritmo incoraggiante. E poi: “Chi oggi non ha risposto all’appello per sostenere il referendum, si aggiungerà in corsa?”.
Anche definire il quesito non è una cosa scontata: soprattutto per una proposta che arriva a venti giorni dalla chiusura dei tempi, non c’è spazio per errori o per distrazioni – anche dal punto di vista della comunicazione, il link deve essere uno, la proposta solida, semplice ma con delle ricadute immediate, e riguardare il maggior numero di persone possibili. E i bambini, i bambini e le bambine sulla cui pelle il dibattito estivo ha passeggiato incurante, tra proposte di Ius scholae e test dell’italianità di atleti e atlete olimpioniche.
Poi il quesito va depositato in Cassazione, cercando fino all’ultimo di coinvolgere tutte e tutti, anche chi ad agosto era via, o chi era distratto, o chi era pessimista. Cercando di convincere la stampa e i telegiornali che un referendum sulla cittadinanza, proposto dalle associazioni di giovani italiani di seconda o terza generazione o nuovi italiani, o italiani senza cittadinanza – o un’altra formula solo per dire che li stiamo tenendo fuori, il più possibile – era una notizia. Non è stato così semplice neanche questo: il rilievo maggiore in prima pagina era su Libero.
Una volta arrivato in piattaforma (il 6 settembre), il referendum non è partito con lo slancio che speravamo per stare tranquilli sul raggiungimento del quorum. Nemmeno quando qualcuno con “abbastanza follower” ha firmato e ne ha parlato. Il primo è stato Roberto Saviano, che di follower ne ha. E che, normalmente, è una notizia. Ma non quando firma il referendum cittadinanza.
Ci sono volute molte adesioni, molti molti follower, conferenze stampa e persino banchetti in presenza con un QR code da inquadrare, molte discussioni con chi ancora non si convinceva, molte storie di chi della legge attuale è letteralmente vittima, molti messaggi mandati alla rubrica, tutta la rubrica (“Lei non la vedo dal 2016, non ci eravamo lasciate tanto bene, le scrivo comunque”) e soprattutto molte e molte firme perché diventasse una notizia. Per fortuna sono arrivate, 637.000, non “quattro click”, checché ne pensi Borghi. E sono arrivate nonostante la piattaforma, a un certo punto. Che nel giorno in cui il ritmo a cui stava crescendo il numero delle firme sembrava inarrestabile, non ha retto il traffico di persone e si è fermata per ore. Per poi inserire una “sala d’attesa”, come quella che ha traumatizzato milioni di fan che volevano comprare i biglietti di Taylor Swift. Il ministero della Giustizia ha dichiarato che si è trattato di un dato record e ha parlato di un’interruzione dovuta a “un elevatissimo numero di accessi”. Eppure le persone hanno firmato anche in piena notte, scrivendo sui canali di chi stava diffondendo il link per lamentarsi delle difficoltà, o per dire che ce l’avevano fatta, o per ringraziare, o per condividere la soddisfazione di poter firmare per una cosa così semplice che può migliorare la vita di così tante persone. Dietro ognuno di quei molto più di “quattro click”, c’è una persona, una storia, un’emozione reale e molto spesso condivisa. Ci sono anche le storie di chi non ha potuto firmare perché la cittadinanza ancora non ce l’ha, perché incastrato ancora in un meccanismo voluto da leggi punitive, umilianti, che nessuno si merita, che il paese non si merita.
Quindi, no, Borghi e tutti gli altri, non è stato facile. Magari, se fosse stato davvero facile, il Ministero lo avrebbe previsto e non si sarebbe verificata un’interruzione di ore (e problemi a seguire a intermittenza) di un esercizio di partecipazione democratica. Se fosse stato davvero facile, non sarebbero stati solo due i referendum “usciti” dalla piattaforma, di cui solo quello sulla cittadinanza (a differenza di quello sull'autonomia differenziata), per via dei tempi, si poteva firmare solo online.
E la notizia è che non è ancora finita, anzi, è appena iniziata. Raccolte le firme, il referendum va presentato, il quesito deve essere giudicato ammissibile dalla Corte Costituzionale, e poi bisogna arrivare alla prossima primavera con una grande sfida da vincere, quella della partecipazione in un Paese in cui il tasso di astensionismo è altissimo. Se tutto andrà come speriamo, oltre a quello sulla cittadinanza, voteremo anche i referendum sul Jobs Act e quello contro l’autonomia differenziata, tutte iniziative che hanno coinvolto partiti, associazioni, sindacati e tantissimi e tantissime cittadine e che hanno davvero la possibilità di riportare alle urne la maggioranza del paese.
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