Durante e dopo le elezioni europee del giugno 2024, abbiamo scelto la metafora meteorologica per descrivere l’avanzata delle destre, sempre più estreme e sempre più forti, in tutta Europa. Una perturbazione che si estende, senza trovare particolari opposizioni.
Poi c’è stata la Francia, dove “sembrava” avesse vinto il Nuovo Fronte Popolare – con un programma che in Italia sarebbe definito di “sinistra radicale” – ma poi Macron, guarda un po’, si è girato dall’altra parte e ha formato un governo di destra che guarda più a destra, per conservare il potere.
Poi ci sono stati i Länder tedeschi con l’avanzata del partito che riecheggia il nazionalsocialismo e, ora, similmente l’Austria, dove se possibile gli estremisti sono ancora più estremi.
In Italia la destra che ha due componenti estreme su tre, con la Lega più a destra dei post-fascisti, conserva nei sondaggi percentuali che sfiorano nel complesso il 50 per cento dei consensi. Si continua a presentarla come una destra diversa, più moderata rispetto a quelle della Mitteleuropa, ma intanto, tra l’altro, sforna un orrendo pacchetto di norme sulla sicurezza che fanno pensare direttamente al Ventennio.
La “sinistra” (virgolette obbligatorie) tende a minimizzare e, quando può, usa l’argomento del fermismo: prima c’era da fermare Berlusconi, poi Salvini, poi Meloni, poi chissà, senza aggiungere molto altro, se non un’eterna discussione sugli assetti delle alleanze (è tornato Renzi, questa la novità politica assoluta dell’estate 2024). A furia di fermare qualcuno, ci si è fermati noi, come ricordava sempre Marco Tiberi.
Certo, non è un problema solo italiano ma non è certo un’attenuante. Anzi.
E dopo aver sottovalutato i rigurgiti fascisti, sembra che siamo pronti, tutti quanti, a sottovalutare anche quelli nazisti.
Le ragioni di questo disastro vanno ricercate in profondità, non nelle agenzie di stampa del giorno prima, né nelle parole veloci – e veloci a tal punto da essere corrive – di questo o quel leader.
Massimo Cacciari scriveva ieri sulla Stampa, riflettendo sullo stato di guerra permanente e infinita a cui sembriamo destinati, senza che le forze democratiche abbiano granché di diverso da dire:
Nessuno si illuda. Più si sviluppa questa mentalità di guerra, più essa influenzerà le nostre forme di vita, più difficile sarà difendere, non di sviluppare, all'interno degli stessi Paesi occidentali i principi più autentici di uno Stato di diritto. Tutto si tiene. La tremenda guerra ai confini d'Europa, confini che appartengono all'Europa, determina fisiologicamente l’unilaterale rafforzamento degli Esecutivi, il silenzio dei Parlamenti, regimi dal carattere sempre più autoritario in nome della sicurezza nazionale. Determina esattamente ciò che si esprime nell'attuale iniziativa legislativa in materia di "ordine pubblico": blocco stradale che diventa reato penale; proteste in carcere, proteste contro la "grandi opere", propaganda in loro favore, che diventano punibili in quanto tali; carcere fino a 7 anni per chi occupa case sfitte, vietato l'acquisto della SIM per immigrati senza permesso (Trump applaude). Fare l'abitudine allo stato di guerra significa far l'abitudine a tutto ciò. Ma anche, cerchino di ricordarselo i nostri democratici, rendere inevitabile il progressivo avanzamento delle destre, e pure di quelle estreme, nell'Occidente sia europeo che americano. È del tutto logico che uno stato di guerra favorisca quelle forze culturali e politiche che proprio sull' inimicizia, sull'inospitalità, su sovranismi gelosi hanno costruito le loro ideologie. Non stupiamoci allora se in Brandeburgo, che ha capitale Berlino, una delle città simbolo, con Gerusalemme, delle tragedie della nostra civiltà, l'AfD sfiora il 30% dei voti, ma arriva al 40% tra i giovani dai 20 ai 30 anni. Non ha sfondato però! dicono i nostri democratici. Non ha sfondato la le Pen, e, per carità, la Meloni è tutt'altra pasta. E Orbán pure. Non sfondano. E noi consoliamoci sopravvivendo.
A ciò aggiungerei quella sorta di appeasement con il capitalismo più feroce – per dirla con Marianna Lentini – che sembra andare bene a tutti, anche alla “sinistra” (in alcuni casi alla “sinistra” per prima).
Ecco, noi continueremo a parlare di Nuvole nere, delle modalità con cui questi soggetti continuano a crescere nei consensi e anche della possibilità che qualcuno provi a riguadagnarli per la parte sinistra, per le ragioni di una democrazia che non difenda solo se stessa ma sappia tutelare le persone.
“Non è un’esercitazione”, come si suol dire, perché non sta per accadere: è accaduto già.
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Nuvole nere nel cielo d'Europa è un libro di Giuseppe Civati per People.
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