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Non si può dire più niente?

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Fioccano le dichiarazioni e si moltiplicano le pubblicazioni in cui ci si lamenta del fatto che non si possa dire più niente, evocando una censura che bloccherebbe ogni libera manifestazione del pensiero.

È una figura retorica tra la occupatio e la preterizione che si manifesta nel più classico degli schemi vittimistici: non posso dire niente e intanto ciò che non posso dire lo dico. Anzi, lo esaspero. E mentre lo dico mi dichiaro prigioniero di una logica che mi viene imposta e che non mi permette di dire ciò che sto invece dicendo eccome.

Così il “non si può dire più niente” si rovescia nel suo contrario, cioè si può letteralmente dire non solo ciò che si vuole, ma anche ciò che fino a poco tempo fa ci si vergognava di dire.


C’è un intero libro costruito in questo modo, a cura dell’ineffabile (è proprio il caso di dire così) Vittorio Feltri. Il titolo è già un programma: Fascisti della parola. Qualcuno potrebbe pensare che è autobiografico e non andrebbe molto lontano dal cogliere il punto. A fugare ogni dubbio, il sottotitolo recita: «Da “negro” a “vecchio”, da “frocio” a “zingaro”, tutte le parole che il politically correct ci ha tolto di bocca». Le parole tra virgolette compaiono barrate, perché non si potrebbero usare. Poi ovviamente campeggiano in copertina e Feltri le ripete diffusamente nel testo, rivendicandone l’uso come un’esigenza ineliminabile per parlare chiaro. Se qualcuno immagina che questo libro che non si potrebbe scrivere né pubblicare, se davvero esistesse quella dittatura che l’autore evoca, sia clandestino, si sbaglia: lo pubblica uno dei maggiori editori italiani, Rizzoli, e si trova sul banco di ogni libreria. Ah, non ci sono più le dittature di una volta.


A furia di non parlare e con l’avanzata del politicamente corretto, oltre ai titoli dei giornali che la destra ci propina ogni giorno, pieni di insulti e di definizioni discriminatorie, si odono le peggiori nefandezze, che circolano nei discorsi dei ministri e delle massime cariche dello Stato.

Non è un fatto solo italiano, no: non inventiamo nulla, ci ispiriamo soltanto ai peggiori soggetti in circolazione per il mondo. A cominciare da Donald Trump, che ha recentemente ripreso un’espressione che proviene direttamente dalle farneticazioni di Adolf Hitler e l’idea che gli stranieri «avvelenino» il nostro sangue. Per passare all’ultimo dei vincitori dell’estrema destra, Javier Milei, che ha recentemente proposto una bozza di riforme in senso autoritario. La dittatura, quella vera, non quella del politicamente corretto. Milei colpisce per la nettezza di ciò che dice e di ciò che intende fare: perché coniuga le ricette dell’ultraliberismo con quelle dell’ultraconservatorismo, è negazionista della dittatura militare e dei deseparecidos, è liberalissimo fino all’anarchismo in campo economico e lo è pochissimo dal punto di vista delle libertà democratiche.

Milei, insieme a Trump, è il politicamente scorretto per definizione: non è, la loro, soltanto una retorica, perché è proprio su queste note che hanno saputo consolidare il loro consenso, e perché si ripromettono di rendere concreto ciò che dicono. Più è assurdo e, appunto, scorretto, più è programmatico.


Da noi tutto avviene in una forma più paracula: non si tratta di affondare le navi dei migranti ma di usare una espressione perifrastica, il blocco navale. Non si tratta di parlare di sostituzione etnica – anche se c’è chi lo ha fatto – ma comunque di opporsi a un piano e a una regia che vorrebbero rimpiazzare i bianchi con i neri. E poi ci si affida al generale toscano, best seller del 2023, per spiegare, con il linguaggio del bar, che dobbiamo recuperare uno spazio che altri ci avrebbero tolto, nel linguaggio, nell’immaginario e, insomma, nella nostra stessa libertà. E via di distinguo su omosessuali e minoranze in genere, non potendolo dire e perciò dicendolo a ogni riga, ogni intervento, ogni sparata.


Spesso il politicamente scorretto si associa alla retorica delle fantasie del complotto e alla categoria dei non-fatti, perché oltre poter dire tutto, tutto lo si inventa. E si può anche ribaltare, alla bisogna, perché tanto se una cosa è falsa si può anche correggere o smentire ogni volta che si può. Alla fine del “trattamento” nessuno capisce più un cazzo: e ciò era esattamente l’obiettivo che i teorici del “non si può dire più niente” si erano riproposti fin dall’inizio. A un effetto si può associare la causa più improbabile e infondata, perché se posso dire tutto non devo sentirmi condizionato da nessuno, nemmeno da quell’energumeno di Aristotele e dal principio di non contraddizione. Un mondo all’incontrario, proprio così, come vuole il titolo di quel libro che ha avuto molta diffusione, pubblicato attraverso quel ciclostile chiamato Amazon.

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