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«Non sono razzista, ma il tempo passa e non cambio mai»



"Non sono un razzista, ma alle mie tradizioni ci tengo.

Non sono un razzista, ma non siamo pronti a ricevere tutti 'sti immigrati.

Non sono un razzista, ma ci mancano le strutture.

Non sono un razzista, ma se ne stiano a casa loro.

Non sono un razzista, ma se poi loro sono infettivi?

Non sono un razzista, ma invece di farli venire qua aiutiamo i loro Paesi d'origine.

Non sono razzista, ma... quando è troppo è troppo.

Non sono razzista, ma lo sono diventata col tempo.

Non sono razzista, ma sinceramente il lavoro scarseggia se ci si mettono pure loro siamo rovinati.

Non sono razzista, ma chissà come mai vengono tutti qui.

Non sono razzista, ma i delinquenti non li voglio.

Non sono razzista, ma gli zingari non li posso sopportare.

Non sono razzista, ma ci sono razze che non mi piacciono".


Scriveva Federico Faloppa in un libro del 2011 (Razzisti a parole (per tacer dei fatti), Laterza):


"Una manciata di frasi. Di frasi fatte. Talmente banali da sembrare artificiose, posticce. Ma non sono farina del mio sacco. Non le ho inventate io. Le prime sei le ho estratte dall'articolo di Enzo Costa Non sono un razzista, pubblicato nel settimanale di satira politica «Cuore» il 2 aprile 1990. Sono state scritte, quindi, oltre vent'anni fa, con lo scopo, dichiarato, di mettere alla berlina un modo di dire che proprio allora - avevamo da poco scoperto l'esistenza di vu' cumprà ed extracomunitari - si stava radicando nell'uso.

Le altre, invece, le ho trovate in internet nel dicembre del 2010, inserendo in Google la query «Non sono razzista, ma». Appartengono all'oggi, quindi. E fanno parte di quelle 140.000 (circa) occorrenze che il motore di ricerca ha scovato nel web. Non che questo numero - 140.000 - dica molto in termini assoluti. Dice però qualcosa se confrontato con un dato riportato dal giornalista Giovanni Maria Bellu nella sua rubrica Gli altri noi. Storie di immigrazione del 13 maggio 2007 (www. repubblica.it). Ovvero che la stessa query quattro anni fa produsse «soltanto» 10.000 occorrenze".


Oggi sarebbero molte di più ma il dato allarmante è un altro: è che queste stesse cose, più o meno identiche, continuiamo a sentircele ripetere. Sono passati 33 anni dal primo articolo e 12 dal libro che lo citava. E non è cambiato granché, anzi: i tormentoni dei primi anni Novanta sono diventati gli elementi strutturali delle politiche di governo. Della destra e anche di buona parte della “sinistra” che è stata a lungo alla guida del Paese.


Anche il brano di Willie Peyote (Io non sono razzista ma…) è uscito nel 2015. 8 anni fa. In poche righe risponde con chiarezza agli argomenti dei non-razzisti-ma. Che rimangono quelli di prima e sono gli stessi di quelli di oggi.


"Beh, è troppo facile dire "questi ci rubano il lavoro

Devono restare a casa loro!"

Che poi se guardi nelle strade della mia città

Ci sono solo kebabbari e compro oro

Ma pensa che se uno che non sa bene la lingua

E non ha nessuna conoscenza

Riesce a fotterti il lavoro con questa facilità

Ti servirebbe un esame di coscienza

Parliamo di accoglienza e di integrazione

L'immigrazione è la prima emergenza in televisione

Che poi non è tutta sta novità

Pensa a tuo nonno arrivato in Argentina col barcone

Invece qui da noi non facciamo le moschee

Perché da loro non fanno le chiese

"L'Italia agli italiani!" ho sentito dire al bar

E se non sbaglio il bar era cinese"


Come dice Willie ci servirebbe un esame di coscienza. Perché se dopo più di trent’anni parliamo ancora così, beh, qualche problema dobbiamo averlo. E non per colpa degli altri. Per colpa nostra. Senza se e sicuramente senza ma.

Ossigeno

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