Paolo Cosseddu
Nuovi media, solita spazzatura

Per chi ama scrivere e, di conseguenza, per chi ama leggere qualcosa in grado di esprimere un pensiero, una riflessione se non edificante almeno ponderata, è un periodo un po’ così. Non si direbbe, vedendo la crescita costante di titoli in uscita, ma il trucco è che i cataloghi delle grandi case editrici si fanno più spessi pubblicando letteralmente qualsiasi cosa: la domanda si contrae, ma in questo modo i volumi produttivi restano costanti e così si può fingere che tutto sommato non stia succedendo niente. Il fatto è che viviamo in una fase storica dominata dall’immagine, dal video in particolare, ed è piuttosto frustrante per chi fa un mestiere collegato alla scrittura doversi spaccare la testa per trovare le parole giuste quando tutta l’attenzione se la prendono filmatini lunghi manciate di secondi in cui persone con vastissime moltitudini di follower, senza farsi troppi problemi, dicono la prima cosa che gli passa per la testa. Monetizzando, ampiamente, quando ormai anche per un pezzo per una testata di rilevanza nazionale a volte si viene pagati pochi euro.
Il problema sono i contenuti, come sempre, e se è vero che i mass media tradizionali inseguono l’effimero da ormai tanto di quel tempo che risulta difficile ricordarsi com’erano prima, gli influencer la loro era dell’oro ce la devono ancora far vedere. Al momento, il panorama va da ragazzotti che glorificano il lusso e la ricchezza dando consigli finanziari che sarebbero esilaranti, se non fossero lunari, a tizie che tutto sommato sdoganerebbero l’incesto, da consigliori dell’outfit giusto per uscire la sera con gli amici a cui evidentemente nessuno ha detto che la sola idea è ridicola, a donne che predicano il dating giusto con l’uomo che c’ha il grano e paga tutto, fino a personaggi più o meno pubblici che litigano per questioni di visibilità (cos’altro, del resto?) generando engagement come se i soldi per i quali litigano fossero i nostri e non i loro. Contestualmente, le star di Onlyfans preferiscono definirsi content creators piuttosto che sex workers, che già era una definizione ottenuta al costo di battaglie contro le discriminazioni, e andrebbe anche bene se però non pretendessero che i ricavati dalla loro disponibilità a mostrare il sedere le rendessero automaticamente maestre di vita su qualsiasi argomento anche il più complesso. Invece, come chiunque può verificare, in qualche modo ci troviamo a discuterne. Perché? Perché è lo spirito del secolo, anzi del millennio, e tanto basta. Non che il problema sia nuovo, si diceva già della tivù e del suo grande potenziale di instupidimento, ampiamente messo in pratica. Quindi non è questione di mezzo, ma di messaggio, solo che più pervasivo è il mezzo più devastante diventa il messaggio: per guardare la tivù bisognava aspettare di arrivare a casa, la sera, e poi mettersi d’accordo con il resto della famiglia, bastava uno insistentemente determinato a guardare un documentario e i piani malvagi dei più malintenzionati costruttori di palinsesti andavano in fumo. La situazione è degenerata con gli smartphone, e l’arrivo dei visori minaccia di fare di peggio.
Ma, siccome l’Italia è una gerontocrazia, da due settimane discutiamo del passaggio di Fabio Fazio dalla Rai a un canale privato, fingendo di non sapere che probabilmente nessuno tra quelli che oggi hanno tra i 20 e i 30 anni, forse anche di più, è vagamente attraversato dalla sola idea di mettersi di fronte alla tivù una volta alla settimana per guardare un programma generalista. Che, essenzialmente, si rivolge a un pubblico in attesa di morire, e non metaforicamente. Ma attenzione, perché social e piattaforme di streaming si stanno velocemente allineando a quel tipo di offerta. Tucker Carlson, conduttore licenziato da Fox News per aver raccontato balle sulle frodi elettorali in America, si è fatto il suo programma su Twitter e al primo colpo ha già superato i cento milioni di visualizzazioni, molte più degli spettatori che avrebbe avuto se fosse stato trasmesso dal vecchio scatolone, tant’è che il suo ex datore di lavoro gli ha fatto causa per aver violato il patto di non concorrenza. Nel corso della prima puntata, tra le altre cose, ha ridato fiato a una serie di teorie del complotto, dall’11 settembre in poi, ha simpatizzato con Putin, ha delirato sugli Ufo e insomma ha dimostrato plasticamente che, al netto di un modello di business che forse scoppierà come una bolla (chissà se saremo così fortunati), là fuori c’è molto più pubblico ma si può continuare tranquillamente con la stessa spazzatura di sempre, se possibile anche con meno freni giacché non c’è più un editore a cui dover rispondere, e si possono fare molti più danni. Qui, invece, ci occupiamo delle nomine Rai. Diamo grande rilevanza a ciò che scrivono i giornali, e di nuovo, si faccia l’esperimento di annotarsi, per un paio di settimane, quante persone si incontrano al mattino sui mezzi pubblici con in mano un quotidiano, o con qualsiasi cosa scritta che non sia uno schermo.
Più o meno 25 anni fa, quando internet ha iniziato a essere decentemente diffuso nel nostro Paese ma ancora la maggior parte dell’utenza evitava di andarci e il fenomeno era visto con grande sospetto, tra i suoi primi frequentatori illuminati c’era chi vedeva arrivare un’era di informazione libera e conoscenza che avrebbe finalmente elevato l’umanità intera. Passato ormai un sufficiente quantitativo di tempo, siamo qui a discutere di ragazzotti che si parlano per tramite di mamme e avvocati di cazzi che non potrebbero essere più loro di così, e ci mettiamo addosso un’immotivata ansia per il canale in cui Fabio fingerà di scandalizzarsi perché Lucianina ha detto “Iolanda” in diretta, intendendo la sua vagina. Ci sarebbe il piccolo problema di dover fare qualche riflessione seria e trovare qualche soluzione per una società vicina al collasso e un pianeta che va a rotoli, ma magari domani esce un video podcast in cui qualche truzzo ci racconta come è molto più facile farsi addominali scolpiti consumando esclusivamente carne umana, e nel caso toccherà rimandare, sapete com’è, le priorità. Non finirà bene.