Il controverso candidato del Pd alle europee Marco Tarquinio l’altro giorno si è espresso, facendo un ragionamento più ampio sulle guerre in corso, su un tema del momento, quello della necessità di una difesa comune per l’Unione Europea, e ha aggiunto che, se si realizzasse, in quel caso bisognerebbe anche ridiscutere la Nato e la nostra adesione a quella alleanza. Apriti cielo: gli sono piovute critiche provenienti da ogni dove, ma l’aspetto surreale è che gli sono venute soprattutto da parte di chi, soprattutto i centristi, invoca i famosi “Stati Uniti d’Europa”, un tormentone senza seguito ormai privo di significato che ci dobbiamo sorbire a ogni tornata, e questa non fa eccezione.
Ebbene, tra le molte opinioni di Tarquinio, alcune pure discutibili, questa pare invece di banale buon senso, e per la cronaca non è nemmeno anti-atlantista come qualcuno la definisce. Non si tratta di pensarla come “i compagni dei centri sociali che vogliono uscire dalla Nato" e ce lo ripetono da decenni, si tratta solo di prender atto di cosa si sta chiedendo, quando si invoca una “difesa comune” europea. Supponiamo che questa sia la volta buona, e che nei prossimi cinque anni si pongano le basi per la sua realizzazione: come abbiamo scritto sul numero 15 di Ossigeno, al momento abbiamo 27 Paesi membri, ognuno dei quali con una difesa propria, e un proprio budget (non piccolo, peraltro) a uso interno, più o meno liberamente impiegato. Facendone una sola, tanto per cominciare, lo scopo dovrebbe essere quello di rendere la spesa più efficiente, non certo farla salire. L’Europa diventerebbe un rilevante polo militare mondiale, e a quel punto non sarebbe più particolarmente equo venire considerati junior partner rispetto agli Stati Uniti, come accade ora nei rapporti di forza interni alla Nato. Gli Usa spendono molto più di qualsiasi altro Paese al mondo, in armamenti, e questo è un dato che difficilmente cambierebbe anche con un budget unificato europeo. Ma ora la spesa americana viene confrontata con quella di 27 singoli Paesi, alcuni dei quali molto piccoli: una volta sommati, il rapporto sarebbe meno sbilanciato. Che dire, poi delle basi americane sul suolo comunitario? Con una difesa comune europea non dovrebbero esserci, beh, basi europee - al limite condivise con gli alleati, se ne potrebbe discutere - ma non certo strettamente americane? Quanto alla questione della deterrenza nucleare, al momento solo la Francia è dotata di testate atomiche, ed è notizia di questi giorni che sarebbero in corso trattative per condividere il know-how con la Germania perché possa farsi le sue: posto che Macron sia così disposto a fare lo stesso con tutti i singoli alleati, con una difesa unica ogni Paese membro dovrebbe dotarsi di atomiche proprie, e però al tempo stesso europee? Anche Orbàn? E poi, riguardo al caso italiano, dopo il dibattito su dove mettere le scorie del nucleare civile e le famose nuove centrali che chissà mai se sorgeranno, siamo pronti ad affrontare quello sui test atomici? Li facciamo in Sardegna, che tanto alle esercitazioni è già abituata, o magari chiediamo di nuovo ospitalità agli amici albanesi? Infine, a qualcuno per caso interessa ancora, discutere di disarmo, e ragionare un secondo sulla deriva di dover immaginare come prossimo impegno del nostro continente quello di spendere soldi non in innovazione, non in transizione ecologica, non in welfare, ma in testate nucleari? “Ma tanto - risponderà qualcuno - abbiamo già quelle americane”: ecco, appunto.
Certo, l’argomento di uno scenario internazionale pieno di tensioni fa presa, ma la verità è che le tensioni ci sono sempre, c’è sempre - purtroppo - qualche Paese in cui si combatte, e forse più che scatenare le paure dei cittadini sulle possibili aggressioni e sulla necessità di armarsi, o di tornare alla leva obbligatoria, si dovrebbe discutere di più, intanto, delle nostre reponsabilità in quei teatri, e poi del perché siamo completamente incapaci di impedire a Israele di bombardare i civili, per esempio, o di aiutare a trovare, mentre l’Ucraina legittimamente si difende, una via d’uscita diplomatica che malgrado tutti gli ottimismi reiterati ormai da più di due anni non sembra in vista con mezzi meramente bellici. Cose molto difficili, non c’è dubbio, mentre armarsi è decisamente più facile. Che funzioni, però, questo francamente è tutto un altro paio di maniche.
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